I NEGOZI PREPARATORI DEL CONTRATTO Cosa c'è prima del contratto? Vediamolo insieme

 

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20 min di lettura

I NEGOZI PREPARATORI DEL CONTRATTO

 di Max Di Pirro

 

1. I moduli “classici” di formazione progressiva del contratto

Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, qualora il definitivo assetto (su base contrattuale) di interessi tra le parti non si formi immediatamente per mezzo di un unico atto, si possono prospettare quattro diverse ipotesi, produttive di differenti conseguenze giuridiche:

  1. patto d’opzione (art. 1331 c.c.), contratto con cui si concorda l’irrevocabilità della dichiarazione di una delle parti relativamente a un futuro contratto che sarà concluso con la semplice accettazione dell’altra parte (relativamente a un regolamento negoziale interamente contemplato nel patto di opzione), la quale però rimane libera di accettare o meno detta dichiarazione, entro un certo termine;
  2. contratto preparatorio in senso stretto (o “puntuazione”), con cui i contraenti si accordano su taluni punti del futuro contratto, in occasione della cui stipula (a cui le parti non sono obbligate, così come nei casi in cui sono intercorse semplici trattative) non sarà necessario un nuovo incontro di volontà sui punti già definiti;
  3. contratto preliminare, un contratto a struttura neutra e ad esecuzione differita che obbliga a stipulare un successivo contratto, esaurendo pertanto la propria funzione all’atto stesso della conclusione di quest’ultimo.
  4. proposta irrevocabile, una particolare figura di procedimento di formazione del contratto imperniata su una proposta destinata a mantenersi stabile per il tempo fissato dal proponente.

 

2. Nozione e struttura del contratto di opzione

Nel contratto di opzione viene contrattualmente convenuta l’irrevocabilità della proposta contrattuale di una delle parti, contenente tutti gli elementi essenziali dell’ulteriore contratto da concludere (c.d. contratto-scopo), in modo da consentirne la conclusione nel momento e per effetto dell’adesione dell’altra parte, senza necessità di ulteriori pattuizioni. Si tratta di due contratti distinti benché funzionalmente collegati.

Il contratto d’opzione, che rende irrevocabile la proposta di un ulteriore contratto, è già concluso e non può essere modificato se non con l’accordo di entrambe le parti; mentre il contratto-scopo si concluderà solo se e quando la proposta del concedente sarà accettata dall’opzionario.

È indiscusso, infatti, in giurisprudenza che l’opzione dà luogo a una proposta irrevocabile cui corrisponde una facoltà di accettazione, e non ad un contratto perfetto condizionato; in conseguenza il negozio, che sorge da un rapporto originariamente in fieri, si perfeziona nello stesso momento in cui la parte manifesta la sua volontà di esercitare il suo diritto di opzione, e non può spiegare i suoi effetti se non da tale momento.

Sicché, è vero che il proponente definisce già al momento dell’opzione il contenuto della sua futura obbligazione contrattuale, ma prima che il contratto-scopo venga concluso egli è vincolato solo all’irrevocabilità della sua proposta, ha solo l’obbligazione negativa di mantenere un comportamento di astensione affinché la conclusione del contratto definitivo non sia impedita.

Il contratto finale oggetto del patto di opzione è un contratto a formazione progressiva, perché la successione degli atti costitutivi dell’accordo è scandita dal patto di opzione ma la sua conclusione è pur sempre conforme allo schema legale disegnato dall’art. 1326 c.c., laddove stabilisce che “il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte”. Tanto che la mancata stipulazione del contratto finale può dar luogo a una responsabilità solo precontrattuale. Il patto di opzione, infatti, include sia la proposta del contratto in itinere sia l’accordo sul contenuto del contratto già definito allo scopo di rendere quella proposta irrevocabile: e per questa ragione, ai fini della validità del contratto finale, la capacità del proponente deve esistere al momento del riconoscimento dell’opzione mentre la capacità dell’opzionario al momento dell’accettazione della proposta irrevocabile allora formulata.

 

3. La posizione dell’opzionario

Come detto, ai sensi dell’art. 1331 c.c. dall’opzione deriva il diritto del beneficiario o opzionario di perfezionare il contratto entro il termine di validità dell’opzione, con la sua sola dichiarazione di accettazione; l’altra parte resta vincolata e non può più interferire con la stipulazione del contratto, che ormai dipende esclusivamente dalla decisione del beneficiario dell’opzione (beninteso, sia essa opzione a titolo gratuito, o, a maggior ragione, e come nel caso di specie, a titolo oneroso).

Nell’opzione gratuita la causa concreta dell’operazione negoziale viene individuata in rapporti non necessariamente di liberalità, da individuarsi caso per caso.

Nell’opzione non gratuita vi è una somma detta “premio”, il corrispettivo che il soggetto, che può esercitare il diritto di opzione, paga all’altra parte in corrispettivo della posizione di soggezione in cui si trova l’altra parte.

Sotto il profilo delle posizioni soggettive:

  • quella del beneficiario è di diritto potestativo, nel senso che la sua volontà di concludere il contratto può realizzarsi a prescindere dalla volontà dell’altra parte;
  • la posizione giuridica soggettiva (passiva) del concedente è di soggezione, poiché egli è esposto a subire, senza poterli contrastare, gli effetti giuridici determinati dalla volontà altrui.

L’esercizio del diritto di opzione da parte del beneficiario determina l’immediato perfezionamento del contratto, del quale si producono tutti i relativi effetti, senza che occorra alcuna ulteriore manifestazione di volontà negoziale.

 

4. La volontà conforme dell’opzionario

Nel patto di opzione, perché si possa parlare di conclusione del contratto stipulato in concreto, è necessario che la manifestazione di volontà dell’opzionario di esercitare l’opzione sia conforme in tutto e per tutto allo schema contrattuale stipulato fra le parti. Pertanto, la manifestazione di volontà dell’opzionario di aderire alla proposta non conforme alla stessa – ovvero la manifestazione di volontà tardiva di aderire alla proposta – equivale ad una nuova proposta, che, come tale, è inidonea a vincolare il concedente, salvo sua accettazione (nel caso di specie il Tribunale esclude la conclusione del contratto di compravendita azionaria, oggetto dell’opzione, a causa della non conformità della manifestazione di volontà di esercizio dell’opzione rispetto al contenuto dell’opzione concessa, la quale, implicando un mutamento degli elementi del contratto di “Put Option”, concretizzata una nuova e diversa proposta rispetto a quella oggetto di opzione, non esercitata nel termine previsto).

 

5. Il contratto preliminare

Il contratto preliminare è un contratto con cui le parti si impegnano a stipulare un successivo contratto, detto definitivo.

La causa del preliminare, secondo la tesi prevalente, è la stessa del corrispondente contratto definitivo.

Tale conclusione è stata però criticata in quanto contrasta con la diffusa opinione che ritiene validi i preliminari di vendita di beni per i quali, all’atto della loro stipulazione, esista un divieto temporaneo di alienazione oppure i preliminari che non contengano ancora sufficienti indicazioni per l’individuazione del bene alienato con il definitivo, sicché si è affermato che la causa del preliminare è l’assunzione del vincolo a contrarre (causa astratta), mentre, dal punto di vista concreto essa è costituita dall’obbligo di concludere lo specifico contratto definitivo cui accede.

Il contratto preliminare può essere utilizzato anche per concludere contratti di vendita che non abbiano un immediato effetto traslativo, come ad esempio una vendita alternativa o di genere limitato, non necessariamente di beni immobili, nonché tipologie contrattuali distinte dalla vendita, come, ad esempio la società, le transazioni, l’appalto, l’assicurazione, ecc., ma anche i contratti reali, a nulla valendo la particolare modalità di perfezionamento dell’accordo caratterizzata dalla traditio; dubbi sulla possibilità di qualificare come preliminare e non come contratto consensuale definitivo la promessa di consegnare un bene per concludere un contratto reale sono invece sollevati da una parte della dottrina, secondo la quale la consegna, requisito essenziale del definitivo, dovrebbe accompagnare anche il preliminare, determinandone in pratica la conversione in definitivo.

Il preliminare ha un’efficacia esclusivamente preparatoria della conclusione del definitivo: il suo effetto non è quello finale derivante dal definitivo, essendo diretto solo a dar vita all’obbligo di giungere a questo ma non di produrne subito le relative conseguenze.

La giurisprudenza ammette la possibilità di concludere un contratto preliminare, oltre che nell’ambito della vendita, per la vendita obbligatoria e per quella di cosa futura, per la locazione, per il contratto di società, per il contratto di lavoro, per la fideiussione, per il mutuo nonché per la donazione, anche se, in quest’ultimo caso, prevale la soluzione opposta, in ragione dell’impossibilità di vincolarsi al compimento di un atto che, per perseguire una funzione di liberalità, deve essere spontaneo.

Nessun autore pone in discussione la completezza del contratto preliminare che, ponendosi come contratto distinto dal successivo definitivo, è valido solo se contiene già tutti gli elementi del futuro contratto.

È su questo criterio che si misura la differenza tra preliminare e mera puntuazione: non hanno effetto vincolante i c.d. “accordi parziali”, caratterizzati dalla formazione di un consenso esclusivamente su taluni elementi del futuro contratto e dall’attribuzione alla prosecuzione delle trattative del compito di procedere alla loro determinazione definitiva. In particolare, il preliminare richiede un grado di determinazione o determinatezza del proprio contenuto identico rispetto a quello di tutti gli altri contratti ed è contraddistinto dalla volontà di procedere alla conclusione di un contratto che è, invece, assente a fronte di una mera intesa parziale.

In ragione della completezza del preliminare la dottrina contesta la possibilità di ricorrere ad un preliminare di preliminare: se infatti si è già formato un accordo in ordine agli elementi essenziali del contratto (bene da alienare, prezzo, ecc.) e sussiste solo un margine di dubbio in ordine all’opportunità di procedere effettivamente alla stipulazione concordata, si potrà essere di fronte, rispettivamente, ad un preliminare vero e proprio ovvero ad un’intesa precontrattuale, a seconda che sussista o meno la volontà di obbligarsi alla conclusione del contratto, ma una mera duplicazione del preliminare stesso sarebbe priva di giustificazione causale. Un altro orientamento, tuttavia, rileva che non vi è limite all’autonomia delle parti e dunque potrebbero configurare un primo accordo obbligatorio, non suscettibile di esecuzione in forma specifica, che solo una volta integrato con ulteriori successive pattuizioni conduca ad un secondo accordo, suscettibile di tale forma di attuazione.

Sul preliminare di preliminare la Cassazione a Sezioni Unite ha affermato che, in presenza della stipula di un contratto preliminare successiva alla conclusione di un primo accordo, il giudice deve verificare se tale accordo costituisca già esso stesso contratto preliminare valido e suscettibile di conseguire effetti ex artt. 1351 e 2932, ovvero anche soltanto effetti obbligatori ma con esclusione dell’esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento. La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, potrà dar luogo a responsabilità per la mancata conclusione del contratto, da qualificarsi di natura contrattuale per la rottura del rapporto obbligatorio assunto nella fase precontrattuale (Cass. S.U. 4628/2015).

L’obbligo di concludere successivamente il definitivo non contrasta con la possibilità di dare esecuzione anticipata a talune prestazioni, salva l’impossibilità di anticipare l’effetto traslativo: l’immediato trasferimento della proprietà altererebbe insanabilmente la funzione del preliminare, inducendo a concludere che sussista un vero e proprio contratto definitivo.

Il preliminare ad effetti anticipati è un contratto meramente obbligatorio e l’eventuale consegna del bene realizzata a seguito del suo perfezionamento avviene solo in ragione di un titolo obbligatorio, senza attribuzione del possesso e dunque senza possibilità che la detenzione del bene provochi un effetto interruttivo della prescrizione decennale del diritto di ottenere l’esecuzione in forma specifica del definitivo, sebbene il promittente venditore non si sia attivato per il recupero del bene consegnato anticipatamente.

In presenza di vizi del bene anticipatamente consegnato, la dottrina riconosce al promittente acquirente la possibilità di agire subito invocando i rimedi sottesi alla corrispondente garanzia, a nulla rilevando che l’acquisto del bene non si sia ancora realizzato e, soprattutto, non sia ancora sicuro.

 

6. Opzione e contratto preliminare

Il patto d’opzione, disciplinato dall’art. 1331 c.c., ha in comune con il contratto preliminare unilaterale l’assunzione dell’obbligazione da parte di un solo contraente, ma se ne distingue per l’eventuale successivo iter della vicenda negoziale, in quanto, a differenza del preliminare unilaterale, che è un contratto perfetto e autonomo rispetto al contratto definitivo, l’opzione configura un elemento di una fattispecie a formazione successiva, costituita inizialmente da un accordo avente ad oggetto l’irrevocabilità della proposta e poi dall’accettazione del promissario che, saldandosi con la prima, perfeziona il contratto (sempreché venga espressa nella forma prescritta per il contratto stesso, e, quindi, nel caso di trasferimento immobiliare, per iscritto).

Pertanto, anche un patto d’opzione avente ad oggetto il trasferimento della proprietà di beni immobili – perché l’accettazione possa saldarsi con la proposta irrevocabile determinando la conclusione del (secondo) contratto -, in forza della forma scritta ad substantiam prescritta dagli artt. 1350 e 1351 c.c., impone, ai fini della sua validità, se non la completa e dettagliata indicazione di tutti gli elementi del futuro contratto, quantomeno l’accordo delle parti su quelli essenziali. In particolare, nell’opzione di compravendita immobiliare è necessario che dal documento risulti, anche attraverso il riferimento ad elementi esterni, ma idonei a consentirne l’identificazione in modo inequivoco, se non l’indicazione dei numeri del catasto o delle mappe censuarie e dei suoi confini, quanto meno che le parti abbiano inteso fare riferimento ad un bene determinato o, comunque, determinabile, la cui indicazione, pertanto, sia logicamente ricostruibile.

 

7. Il patto di prelazione e le differenze dall’opzione

Il patto di prelazione – figura non specificamente prevista dal codice civile, bensì per lo più frutto di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale – è l’accordo con il quale un soggetto (promittente o concedente) si impegna nei confronti di un altro (prelazionario) a preferirlo rispetto ai terzi, e a parità di condizioni, qualora in futuro decida di stipulare un determinato contratto.

Sebbene talvolta si sia assimilato tale patto alla fattispecie del contratto preliminare (tenuto conto dell’obbligo di dare la preferenza al prelazionario), l’orientamento prevalente è nel senso che non derivi alcun obbligo a contrarre a carico del concedente, il quale rimane libero di decidere in ordine all’an (se concludere o meno il contratto) e al quomodo della contrattazione (poiché nel patto di prelazione non deve necessariamente essere predeterminato il contenuto del futuro eventuale contratto), restando vincolato soltanto nella scelta del contraente a parità di condizioni.

Ovvero, in altri termini, vi sarebbe solo l’obbligo di preferire, a parità di condizioni, l’altra parte nella conclusione di un eventuale contratto di alienazione del bene oggetto del patto, venendo limitate cioè solo le modalità di esercizio del potere di alienazione del soggetto vincolato, senza però alcun pregiudizio per la libertà di decidere se alienare o meno il bene.

Con la ulteriore conseguenza che non sarebbe nemmeno invocabile l’art. 2932 c.c. in tema di esecuzione in forma specifica, né sarebbe ipotizzabile alcun potere di riscatto a favore del prelazionario il cui diritto sia stato violato, trattandosi di diritto di natura obbligatoria non opponibile ai terzi, salva la sola azione personale risarcitoria nei confronti dell’inadempiente.

Analogamente, si è affermato che – a differenza del contratto preliminare unilaterale, che determina l’immediata e definitiva assunzione dell’obbligazione di prestare il consenso per il contratto definitivo -, il patto di prelazione relativo alla vendita di un bene genera, a carico del promittente, un’immediata obbligazione negativa di non venderlo ad altri prima che il prelazionario dichiari di non voler esercitare il suo diritto di prelazione o lasci decorrere il termine all’uopo concessogli, nonché un’obbligazione positiva avente ad oggetto la “denuntiatio” al medesimo della sua proposta a venderlo, nel caso si decida in tal senso; e tale obbligazione, nel caso di vendita ad un terzo, sorge e si esteriorizza in uno al suo inadempimento, sicché il promissario non può chiedere l’adempimento in forma specifica, per incoercibilità di essa a seguito della vendita al terzo, ma soltanto il risarcimento del danno; idem, nel caso di promessa di vendita ad un terzo del medesimo bene, tale obbligazione è incoercibile ex art. 2932 c.c., non configurando un preliminare.

Ed ancora, si è evidenziato che il patto di prelazione non attribuisce al prelazionario il potere di costituire il rapporto contrattuale mediante una propria manifestazione di volontà, essendo invece necessaria – ove il concedente intenda concludere il contratto – la stipulazione di un nuovo contratto distinto; ossia vi è solo la previsione di un contratto, nella cui stipula il beneficiario ha diritto di essere preferito ad altri, in quanto tale strumento negoziale trova in definitiva la sua specifica e autonoma giustificazione causale appunto nell’esigenza di attribuire ad una parte il vantaggio di essere preferito ad altri nella stipulazione di un futuro eventuale contratto.

Tant’è che la comunicazione che il promittente è tenuto a fare al promissario (relativa alle proposte fatte da terzi ovvero a costoro fatte dallo stesso promittente) deve riguardare la proposta nella sua completezza, contenendo gli elementi essenziali del contratto da concludere, avendo la natura della proposta contrattuale del promittente al promissario.

Quanto sopra detto vale d’altronde anche a comprendere quali siano le differenze tra le figure della prelazione e dell’opzione.

È noto al riguardo che, a norma dell’art. 1331 c.c., quando le parti convengono che una di esse (concedente) rimanga vincolata alla propria dichiarazione mentre l’altra (opzionario) abbia la facoltà di accettarla o meno, la dichiarazione della prima si considera quale proposta irrevocabile per gli effetti previsti dall’art. 1329 c.c.

Trattasi in effetti di un contratto o negozio giuridico bilaterale che attribuisce ad una parte il diritto di costituire il rapporto contrattuale finale mediante una propria dichiarazione unilaterale di volontà, mentre l’altra si impegna a mantenere ferma la propria proposta; e ciò si ritiene avvenga alla stregua di una fattispecie a formazione successiva, costituita inizialmente dall’accordo avente ad oggetto l’irrevocabilità della proposta e, successivamente, dall’accettazione definitiva del promissario che, saldandosi con la proposta, perfeziona il contratto; irrevocabilità che dunque dipende – non già esclusivamente dalla volontà o dall’impegno unilaterale del proponente, come avviene nel caso della “proposta irrevocabile” di cui all’art. 1329 c.c. – bensì da una convenzione tra le parti, le cui volontà devono quindi essere espresse ed incontrarsi, ossia vi sono due parti che convengono che una di esse resti vincolata dalla propria dichiarazione, mentre l’altra resta libera di accettarla o meno.

Va peraltro precisato che l’opzione si distingue a sua volta dal contratto preliminare, e in particolare dal “contratto preliminare unilaterale”, per una serie di ragioni.

Innanzitutto, da quest’ultimo nasce, a carico del promittente, un obbligo a contrarre (ossia di stipulare il contratto definitivo), mentre con l’opzione sorge a favore del beneficiario il diritto potestativo – che egli è libero di esercitare o meno – di determinare il perfezionamento del contratto finale, venendo dunque in rilievo piuttosto una combinazione diritto potestativo – soggezione. Il concedente non è dunque tenuto a porre in essere alcun comportamento positivo volto a rendere possibile la conclusione del contratto finale, dovendo solo mantenere una condotta di astensione affinché la conclusione del contratto non sia impedita (trattasi di obbligazione negativa il cui inadempimento non è opponibile ai terzi che ne abbiano tratto vantaggio e produce solo l’obbligo di risarcimento a carico del promittente inadempiente).

Inoltre, mentre col contratto preliminare gli effetti del contratto definitivo si producono solo a seguito di un successivo incontro di dichiarazioni tra le parti, nell’opzione è sufficiente per la conclusione del contratto finale la semplice dichiarazione unilaterale di accettazione dell’oblato (Cass. civ. 5950/86, 2692/97); infatti, l’opzione deve contenere tutti gli elementi essenziali del negozio finale alla cui conclusione è preordinata, restandone per converso esclusa la configurabilità in caso di proposta solo parziale, perché, in tal caso, il perfezionarsi del contratto non potrebbe conseguire alla mera accettazione, richiedendo la formazione del consenso sugli ulteriori elementi non già considerati nella proposta stessa.

Va altresì rilevato che anche un’eventuale gratuità dell’opzione non varrebbe ad escludere l’esistenza di una causa, che resta pur sempre quella di agevolare la conclusione del contratto finale, rendendo fissa ed immutabile la proposta contrattuale mediante la creazione, a favore dell’opzionario, del diritto potestativo di concludere il contratto con una dichiarazione unilaterale di volontà.

Così, anche nel caso in cui nessuna forma di corrispettivo venga prevista, mentre l’opzionario potrebbe, approfittando del prezzo bloccato garantito dall’obbligo del proponente di tenere ferma la proposta, decidere di addivenire all’acquisto dell’immobile solo se l’evoluzione del mercato abbia determinato un aumento del relativo prezzo (così evitando anche i rischi connessi alla diminuzione del valore commerciale), dall’altro versante, il concedente perseguirebbe comunque l’interesse a rendere più probabile e raggiungibile la definitiva conclusione del contratto.

Resta fermo poi che anche il concedente può incorrere in una responsabilità in contraendo ex art. 1337 c.c. qualora tenga un comportamento, contrario a buona fede, tale da rendere impossibile la conclusione del contratto definitivo (per esempio, distruggendo il bene o alienandolo a terzi). In tal caso, egli sarà tenuto al risarcimento del danno, nei limiti dell’interesse negativo, nonché alla restituzione del premio, in caso di opzione onerosa; per contro, atteso che l’oblato non ha ancora esercitato il suo diritto, non potrebbe operare l’art. 1218 c.c., essendo solo eventuale la conclusione del contratto finale.

 

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