I GRANDI TEMI: L’OBBLIGAZIONE (PARTE III) Le modificazioni del lato attivo del rapporto

 

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38 min di lettura

Per pigrizia questa parte è tratta (con qualche modifica) dal mio manuale “Diritto civile”, collana Studi Superiori, ed. Simone, 2017 (con appendice di aggiornamento 2019).

https://www.simone.it/catalogo/vst21p.htm

 

L’OBBLIGAZIONE

(PARTE III)

di Max Di Pirro

(segue)

8. Le vicende soggettive dell’obbligazione. L’obbligazione può subire, nel corso della sua esistenza, una serie di vicende che possono comportarne la trasformazione o l’estinzione.

Per comodità espositiva tratteremo delle vicende dell’obbligazione classificandole in due gruppi:

modificazioni dei soggetti dell’obbligazione (vicende soggettive);

modificazioni dell’oggetto dell’obbligazione (vicende oggettive).

Ci occuperemo anzitutto delle vicende soggettive, che investono le posizioni del debitore e del creditore.

Le modificazioni del lato attivo del rapporto obbligatorio comportano il subingresso di un nuovo creditore nel rapporto obbligatorio, e si realizzano per atto tra vivi (cessione del credito, surrogazione nei diritti del creditore e delegazione attiva) o a causa di morte (successione mortis causa).

Anche le modificazioni del lato passivo del rapporto obbligatorio, che comportano l’assunzione del debito altrui, possono realizzarsi a causa di morte (successione mortis causa) o per atto tra vivi (espromissione, delegazione passiva, accollo e novazione soggettiva) e sono accomunate dall’ingresso di un nuovo debitore nel rapporto obbligatorio, il quale diventa obbligato nei confronti del creditore in sostituzione o in concorrenza con il debitore originario.

Vediamo le modificazioni del lato attivo del rapporto obbligatorio realizzate con atti inter vivos.

 

9. La cessione del credito. La cessione negoziale del credito, disciplinata dagli artt. 1260 ss. c.c., è un contratto mediante il quale il creditore (cedente) trasferisce a un terzo (cessionario) il diritto di credito nei confronti del debitore (ceduto).

La cessione del credito (legale o negoziale) comporta una modificazione nel lato attivo del rapporto obbligatorio: il diritto di credito che spetta al creditore cessionario è lo stesso che spettava al creditore cedente.

La cessione del credito indica sia la fattispecie negoziale con la quale si trasferisce il diritto di credito da un soggetto all’altro, sia la vicenda modificativa che tale fattispecie produce, ossia la successione nella titolarità del credito.

Il creditore può cedere il credito a titolo oneroso, ossia dietro compenso (ad es., in caso di vendita del credito) oppure a titolo gratuito (art. 1260, co. 1, c.c.), senza alcun corrispettivo (ad es., in caso di donazione del credito).

Il contratto di cessione del credito si perfeziona con il consenso del creditore cedente e del nuovo creditore cessionario (art. 1376 c.c.). Pertanto, il credito si trasferisce dal patrimonio del cedente a quello del cessionario per effetto dell’accordo.

Il debitore ceduto non è parte del contratto di cessione, per cui non occorre il suo consenso ai fini del perfezionamento della cessione. Infatti, il debitore non assume diritti o obblighi nascenti dal contratto di cessione, ed è normalmente indifferente, per il debitore, adempiere nei confronti di un creditore piuttosto che di un altro. Al debitore dovrà solamente essere comunicato l’avvenuto trasferimento del credito, che egli potrà accettare o meno.

Pertanto, ai fini del perfezionamento della cessione del credito è normalmente necessario e sufficiente l’accordo tra il cedente e il cessionario (laddove il credito non sia di natura strettamente personale e non sussista uno specifico divieto normativo al riguardo), in quanto il contratto di cessione di credito ha natura consensuale e il suo perfezionamento consegue al solo scambio del consenso tra cedente e cessionario, che attribuisce a quest’ultimo la veste di creditore esclusivo, unico legittimato a pretendere la prestazione, pur se sia mancata la notificazione prevista dall’art. 1264 c.c.

In altri termini, la cessione di credito è un contratto che determina la successione del cessionario al cedente nel medesimo rapporto obbligatorio con effetti traslativi immediati non solo tra essi, ma anche nei confronti del debitore, la cui tutela ai sensi dell’art. 1264 c.c. — in forza del quale la cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto solo dopo che gli è stata notificata o in caso di sua accettazione — vale soltanto a tutelare la buona fede del solvens.

Per il contratto di cessione non sono previsti particolari requisiti di forma, a meno che una determinata forma sia richiesta dalla causa del negozio o da specifiche disposizioni di legge o sia prevista dalle parti (si pensi, ad es., alla donazione del credito, che deve rivestire la forma prevista per la donazione dall’art. 782 c.c., o alla cessione di un credito di un privato verso la pubblica amministrazione, che deve risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata ai sensi dell’art. 69, co. 3, R.D. 2440/23).

L’oggetto della cessione è il trasferimento, totale o parziale, di un diritto di credito. Può essere ceduto qualunque credito, ad eccezione dei crediti incedibili

Può trattarsi anche di un credito futuro, purché:

  • il credito sia determinato o determinabile;
  • la cessione avvenga a titolo oneroso, in quanto la cessione a titolo gratuito sarebbe nulla per violazione del divieto di donare beni futuri (art. 771 c.c.).

Rientra nel concetto di credito futuro, suscettibile di cessione, anche un credito semplicemente sperato, ossia meramente eventuale (ad es., i contributi promessi da un comune a un’associazione sportiva).

La cessione del credito futuro si perfeziona col consenso del cedente e del cessionario, ma il credito si trasferisce in capo al cessionario soltanto nel momento in cui il credito stesso viene ad esistenza: fino a tale momento, il contratto di cessione ha soltanto effetti obbligatori tra le parti.

È un contratto a causa variabile, a seconda dell’interesse che, di volta in volta, l’atto è diretto a realizzare. Non si tratta, come affermato da una parte della dottrina, di un contratto con una «doppia» causa, ossia una causa generica costante (consistente nel trasferimento del diritto di credito) e una causa specifica variabile a seconda dei casi: l’unica causa del contratto di cessione è quella che emerge di volta in volta dal singolo contratto posto in essere.

Neanche può affermarsi che la cessione del credito sia un negozio astratto, ossia un negozio che comporta il trasferimento del diritto svincolato dalla funzione particolare per la quale la cessione è posta in essere. La causa, infatti, è presente in ogni contratto di cessione (a meno che venga data la prova dell’inesistenza o dell’illiceità della causa) e consiste, come evidenziato, nell’interesse che la cessione stessa è diretta a realizzare di volta in volta.

Ai fini della cessione, come accennato, non è necessario il consenso del debitore. In alcuni casi, però, il credito non può essere ceduto senza il consenso del debitore. Ciò accade quando:

  • il credito ha carattere strettamente personale. Si pensi ai crediti aventi ad oggetto prestazioni di carattere artistico e intellettuale: per lo scrittore è rilevante chi sia l’editore nei cui confronti si è impegnato a scrivere un libro, per cui il creditore-editore non può cedere il diritto all’esecuzione dell’opera senza il consenso del debitore-scrittore;
  • la cessione è vietata dalla legge. Si pensi ai crediti aventi ad oggetto prestazioni alimentari ex 447, co. 1, c.c. o ai crediti aventi ad oggetto crediti litigiosi: l’art. 1261 c.c. stabilisce che gli operatori della giustizia — avvocati, magistrati, cancellieri etc. — non possono, neppure per interposta persona, rendersi cessionari di crediti litigiosi, ossia diritti che, al momento della cessione, costituiscono oggetto di domande giudiziali — di condanna, di accertamento, di risoluzione o di esecuzione — pendenti davanti all’autorità giudiziaria di cui gli operatori della giustizia fanno parte o nella cui giurisdizione esercitano le loro funzioni. Tale divieto è diretto a impedire che di tali diritti siano titolari soggetti che potrebbero avere un interesse personale nella causa e a garantire il corretto svolgimento dell’attività difensiva. La cessione di un credito litigioso deve ritenersi affetta da nullità, assoluta e insanabile, che può essere fatta valere dal cedente, dal cessionario, dal debitore ceduto, da qualunque altro terzo che vi abbia interesse e può essere anche rilevata d’ufficio dal giudice;
  • la cessione è esclusa da un accordo tra il creditore originario e il debitore.

 

9.1. L’efficacia della cessione nei confronti del debitore.

Nei confronti del debitore ceduto la cessione del credito è efficace dal momento in cui egli l’ha accettata o da quando gli è stata notificata o ne ha avuto conoscenza (art. 1264, co. 1, c.c.).

Pertanto, il credito si trasferisce con l’accordo tra cedente e cessionario, mentre la notificazione, l’accettazione o la conoscenza (con qualunque mezzo, anche con una semplice comunicazione verbale) della cessione da parte del debitore ceduto escludono l’efficacia liberatoria del pagamento fatto, dopo tale momento, al creditore cedente anziché al cessionario.

L’accettazione della cessione del credito da parte del debitore ceduto non costituisce ricognizione tacita del debito, trattandosi di una dichiarazione di scienza priva di contenuto negoziale, sicché il ceduto non vìola il principio di buona fede nei confronti del cessionario se non contesta il credito, pur se edotto della cessione, né il suo silenzio può costituire conferma di esso perché, per assumere tale significato, occorre un’intesa tra le parti negoziali cui il ceduto è estraneo.

Il debitore è liberato dall’obbligazione se adempie nelle mani del creditore originario prima dell’accettazione, della notificazione o della conoscenza dell’avvenuta cessione, dal momento che aveva confidato in buona fede nella presunzione che il proprio creditore fosse ancora il cedente. Tuttavia, il creditore cessionario può sempre dimostrare che il debitore era a conoscenza della cessione (art. 1264, co. 2, c.c.).

La notifica al debitore dell’avvenuta cessione può essere fatta in qualsiasi forma, anche verbalmente. Non occorre, quindi, che venga eseguita a mezzo ufficiale giudiziario, costituendo quest’ultima una semplice species (prevista esplicitamente per i soli atti processuali) del più ampio genus costituito dalla notificazione, intesa come attività diretta a produrre la conoscenza di un atto in capo al destinatario. Ne consegue che la notificazione della cessione (così come il correlativo atto di accettazione del debitore) è un atto a forma libera, non soggetto a particolari discipline o formalità.

L’art. 1264 c.c. non individua il soggetto tenuto a notificare la cessione del credito, sicché la notificazione, che ha solo l’effetto di rendere la cessione opponibile al debitore ceduto, può essere effettuata dal cedente o dal cessionario.

Se la notifica è effettuata dal cedente o dal cedente e dal cessionario insieme, il debitore potrà essere ragionevolmente certo che il vero creditore è il cessionario. Se, invece, avviene ad opera del solo cessionario, in mancanza di idonei elementi dimostrativi il debitore dovrà accertare, secondo le regole generali di diligenza, che il credito è stato effettivamente ceduto dal cedente al cessionario.

 

9.2. Eccezioni opponibili dal debitore e conflitto tra più aventi causa

Il debitore ceduto è obbligato verso il cessionario nello stesso modo in cui lo era nei confronti del creditore originario. Pertanto, potrà opporre al nuovo creditore tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre al creditore originario (cioè, può far valere nei suoi confronti tutte le ragioni per impedire o ritardare il pagamento che poteva far valere nei confronti del vecchio creditore). In particolare, potrà far valere le eccezioni relative:

  • alla validità (inesistenza, nullità o annullabilità) del titolo da cui deriva il credito ceduto;
  • al mancato o irregolare adempimento della comunicazione o della notificazione del contratto di cessione;
  • ai fatti modificativi o estintivi del credito anteriori alla cessione o successivi, purché anteriori alla notifica, all’accettazione o alla conoscenza della cessione da parte del debitore.

Se il credito è stato ceduto a più persone con trasferimenti successivi, prevale la cessione notificata per prima al debitore o quella che è stata accettata per prima dal debitore con atto avente data certa (art. 1265, co. 1, c.c.).

Il cessionario che ha concluso per primo la cessione ma è stato preceduto da un altro nella notificazione e ha, così, perduto il credito, può:

  • agire per il risarcimento del danno da inadempimento nei confronti del cedente (art. 1218 c.c.), perché il cedente, nell’effettuare la seconda cessione, non ha adempiuto l’obbligo contrattuale di far ottenere il credito al cessionario;
  • agire per il risarcimento del danno extracontrattuale nei confronti del secondo cessionario il quale, notificando per primo, ha prevalso, pur essendo consapevole della prima cessione. L’azione è extracontrattuale in quanto non sussiste alcun obbligo contrattuale tra il primo e il secondo cessionario;
  • agire in via extracontrattuale nei confronti del debitore ceduto quando questi, accettando la seconda cessione con la consapevolezza dell’esistenza della prima, abbia determinato la prevalenza del secondo cessionario a danno del primo, legittimo cessionario.

 

9.3. Garanzia dell’esistenza del credito (nomen verum) e della solvenza del debitore (nomen bonum).

Quando la cessione è a titolo oneroso (ossia, è effettuata dietro corrispettivo per adempiere una precedente obbligazione oppure per garantire l’adempimento di un’altra obbligazione), il cedente è tenuto a garantire l’esistenza del credito (nomen verum) al tempo della cessione (art. 1266, co. 1, c.c.).

La garanzia dell’esistenza del credito comporta la responsabilità del creditore cedente nel caso in cui il cessionario non ottenga la titolarità del credito ceduto o la perda per fatto del cedente.

Il mancato trasferimento del credito può dipendere:

  • dall’inesistenza del credito al momento della cessione (credito prescritto, credito derivante da titolo nullo o inesistente etc.);
  • dalla mancanza di legittimazione del cedente, il quale trasferisce il credito di un terzo.

La perdita del diritto di credito può dipendere, invece, dalla pronuncia, successiva al trasferimento del credito, di una sentenza di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione del titolo dal quale il credito deriva.

In tutti questi casi il cessionario può chiedere al cedente il risarcimento del danno subito (ma deve a sua volta eseguire la controprestazione), oppure può agire per la risoluzione del contratto, sottraendosi così alla propria prestazione.

La responsabilità del cedente può essere esclusa per espressa volontà delle parti, ma il patto di esclusione della garanzia non opera (e il cedente, quindi, è sempre responsabile) se il cessionario non acquista il credito per colpa del cedente stesso (art. 1266, co. 1, ult. parte, c.c.).

Inoltre, il cedente non è tenuto a prestare la garanzia se la cessione ha ad oggetto un credito futuro: in tal caso, il negozio di cessione, ai sensi dell’art. 1472, co. 2, c.c. («…la vendita è nulla se la cosa non viene ad esistenza»), sarà nullo se il credito futuro non dovesse venire ad esistenza.

Se la cessione è a titolo gratuito la garanzia è dovuta solo nei casi e nei limiti in cui la legge pone a carico del donante la garanzia per evizione (art. 1266, co. 2 e 797 c.c.). Il cedente ottiene, in questo caso, un trattamento di favore in considerazione della gratuità della cessione: ad es., sarà tenuto alla garanzia quando abbia promesso la garanzia o quando l’inesistenza dipenda da dolo o colpa o da fatto personale.

Il cedente garantisce l’esistenza del credito ma non l’adempimento del debitore (nomen bonum), ossia il soddisfacimento del credito ceduto (il rischio di inadempimento grava sul creditore e passa al cessionario), salvo che abbia assunto espressamente tale garanzia, nel qual caso egli risponde nei limiti di quanto ha ricevuto (art. 1267 c.c.).

Pertanto, normalmente il cedente è liberato nel momento in cui cede il credito al cessionario (cessione pro soluto); se però ha assunto l’obbligo di garantire la solvenza del debitore, è liberato solo quando il cessionario riceve l’adempimento del debitore ceduto (cessione pro solvendo).

Se il cedente assume la garanzia della solvenza del debitore ceduto, in caso di cessione a titolo oneroso dovrà, a fronte dell’inadempimento del debitore:

  • restituire al cessionario il corrispettivo della cessione;
  • corrispondere gli interessi legali (se il corrispettivo della cessione è una somma di denaro) dal giorno in cui ha ricevuto tale somma fino al giorno della restituzione;
  • rimborsare le spese della cessione e quelle che il cessionario ha sostenuto per chiedere l’adempimento al debitore (ad es., spese legali);
  • indennizzare il cessionario per gli altri danni (ad es., svalutazione monetaria).

Quando il cedente ha garantito la solvenza del debitore, la garanzia cessa se la mancata realizzazione del credito per insolvenza del debitore è dipesa da negligenza del cessionario nel tutelare i propri interessi nei confronti del debitore (art. 1267, co. 2, c.c.), attraverso richieste stragiudiziali (ad es., diffide) e azioni legali (ad es., azione di adempimento). In tal modo si vuole evitare che il cedente subisca un danno dal comportamento negligente del cessionario.

Tuttavia, le parti possono escludere, di comune accordo, l’onere del cessionario di agire preventivamente nei confronti del debitore a tutela del proprio credito: in tal caso, il cessionario potrà rivolgersi al cedente, ex art. 1267 c.c., subito dopo aver infruttuosamente chiesto al debitore l’adempimento.

Se la cessione è a titolo gratuito, in caso di insolvenza del debitore il cedente dovrà corrispondere al cessionario il valore economico della prestazione rimasta inadempiuta.

 

9.4. La cessione dei crediti d’impresa: il factoring.

Un contratto che ha incontrato crescente diffusione è il c.d. factoring, in virtù del quale il cedente trasferisce, a titolo oneroso, la globalità dei crediti, presenti e futuri, derivanti dallo svolgimento della propria attività imprenditoriale, al c.d. factor, il quale – assumendosi o meno il rischio dell’insolvenza del debitore ceduto – solitamente anticipa al cedente parte del valore nominale del credito. Il factor – di norma – non si limita ad acquistare crediti ma offre al cedente – in cambio di un’apposita commissione – una vasta gamma di servizi, quali la gestione, la contabilizzazione, l’amministrazione, il sollecito e l’incasso dei crediti d’impresa, l’eventuale smobilizzo del credito ceduto in anticipo rispetto alla scadenza di quest’ultimo, la consulenza commerciale, il recupero dei crediti insoluti e l’assunzione del rischio del credito nei confronti di uno o più dei debitori.

Il contratto di factoring non si esaurisce nella mera cessione del credito di cui agli artt. 1260 ss.: elemento caratterizzante la fattispecie contrattuale in discorso, infatti, è l’erogazione alla clientela, ad opera del factor, dei citati servizi, sicché il trasferimento dei diritti di credito non è l’oggetto dell’accordo contrattuale maa soltanto lo strumento mediante il quale il factor è messo in condizione di erogare i servizi stessi. Nel contratto di factoring, pertanto, il rapporto intercorre tra i servizi resi dal factor al cliente e il pagamento di questi ultimi ad opera del cedente.

La cessione dei crediti d’impresa è ora disciplinata dalla L. 52/1991, che presenta rilevanti divergenze rispetto alla disciplina generale della cessione dei crediti.

Secondo la giurisprudenza, anche dopo l’entrata in vigore della L. 52/1991 il factoring è rimasto un contratto atipico.

A differenza di quanto previsto dall’art. 1260, la legge richiede specifici requisiti soggettivi per il cedente e per il cessionario:

  • parti del contratto di factoring possono essere infatti soltanto imprenditori (art. 1, co. 1);
  • di detta disciplina non possono avvalersi i liberi professionisti e i lavoratori autonomi;
  • il cessionario può essere solo una banca o un intermediario finanziario (art. 1, 1, lett. c), iscritto all’apposito albo istituito presso la Banca d’Italia e obbligato alla certificazione del proprio bilancio annuale (art. 2, co. 3). Non occorre che il cessionario eserciti in via esclusiva o prevalente l’attività di factoring.

Il debitore ceduto può essere chiunque – impresa, lavoratore autonomo o consumatore – abbia intrattenuto, intrattenga o intratterrà rapporti contrattuali con il cedente.

I crediti d’impresa suscettibili di trasferimento sono i crediti pecuniari (art. 1, co. 1) – con esclusione dei crediti non pecuniari e di quelli aventi carattere strettamente personale – derivanti da contratti stipulati dal cedente nell’esercizio dell’impresa (art. 1, co. 1, lett. b ), con esclusione quindi dei crediti di natura fiscale.

Ai sensi dell’art. 3, co. 1, possono essere ceduti anche i crediti d’impresa futuri, ossia che deriveranno da contratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi (art. 3, co. 3.) purché sia indicato il debitore ceduto (art. 3, co. 4).

La previsione contrattuale di un periodo più lungo di 24 mesi comporta l’invalidità della clausola negoziale e la sostituzione di quest’ultima con il termine biennale.

La mancata indicazione del debitore ceduto comporta la nullità del contratto per indeterminabilità dell’oggetto. La mera indicazione del nome del debitore non è sufficiente – salvo che siano ceduti tutti i crediti vantati nei confronti dello stesso debitore – a consentire l’individuazione dei crediti trasferiti: occorre indicare almeno la categoria cui detti crediti appartengono.

 

9.5. La cartolarizzazione dei crediti

Un altro istituto che si fonda sulla cessione del credito è la cartolarizzazione dei crediti (o securisation), disciplinata dalla L. 130/1999, finalizzata allo smobilizzo dei crediti (procurando immediata liquidità al creditore) e alla creazione di un nuovo bene (uno strumento finanziario) da collocare sul mercato.

L’operazione è così articolata:

  1. un soggetto (c.d. originator), nella prassi una banca o un intermediario finanziario, cede a titolo oneroso uno o più crediti pecuniari, esistenti o futuri, a una società (c.d. società-veicolo o special pourpose vehicle);
  2. per procurarsi la somma necessaria all’acquisto dei crediti, la società-veicolo emette titoli destinati a essere collocati presso gli investitori;
  3. la società veicolo, direttamente o attraverso un’altra società, provvede alla riscossione dei crediti ceduti e alle attività ad essa connesse (monitorare i debitori, assumere le iniziative giudiziarie occorrenti, accettare le transazioni, ecc.);
  4. le somme incassate dai debitori ceduti sono destinate in via esclusiva (salvo il pagamento dei costi dell’operazione) ai portatori dei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei relativi crediti.

Per garantire questo obiettivo l’art. 3, co. 2, L. 190/1999 stabilisce che i crediti oggetto di cessione da parte dell’originator a favore della società veicolo, pur diventando formalmente di titolarità di quest’ultima, costituiscono un patrimonio separato, cioè distinto sia dal patrimonio residuo della stessa società-veicolo, sia da quello relativo ad altre operazioni di cartolarizzazione che la società abbia in atto. Ne deriva che i portatori dei titoli emessi:

  • hanno un diritto esclusivo sui crediti della società-veicolo acquistati in attuazione di tale operazione e sui flussi di denaro generati dal loro incasso;
  • possono far valere le loro pretese solo su tali beni e non sul restante patrimonio della società-veicolo o sui restanti patrimoni separati eventualmente ad essa intestati ma vincolati ad altra operazione di cartolarizzazione.

In un simile quadro, i debitori ceduti non possono opporre in compensazione, al cessionario, i controcrediti da essi vantati verso il cedente.

 

9.6. Il forfaiting

Denominato anche sconto à forfait, è fra tutti i moderni strumenti di finanziamento alle imprese di derivazione anglosassone, come leasing e factoring, quello più recente, anche se meno diffuso rispetto agli altri due.

Con il forfaiting un imprenditore – di norma, un esportatore – cede a un istituto finanziario — il forfaiter —, che gliene anticipa l’importo previa deduzione di un tasso di interesse fisso (à forfait), un credito cartolare non ancora scaduto derivante dalla fornitura di beni o dalla prestazione di servizi all’estero.

La cessione avviene pro soluto, tant’è che deve considerarsi elemento essenziale del rapporto l’apposizione sul titolo della clausola without recourse, diretta a escludere la responsabilità dell’imprenditore cedente nel caso che il credito non vada a buon fine e, di converso, il rilascio di un’apposita garanzia sotto forma di avallo da parte di una banca che, di norma, ha sede nello stesso paese dell’esportatore.

I titoli di credito utilizzati per incorporare le singole rate di debito dell’importatore sono, di regola, cambiali tratte dall’esportatore sull’importatore e da questi accettate a favore del forfaiter ovvero, più frequentemente, pagherò cambiari emessi dall’importatore a favore dell’esportatore e da questi girati al forfaiter.

Si è dubitato che si tratti di un vero e proprio contratto di finanziamento, dal momento che la cessione avviene pro soluto e, di conseguenza, non c’è alcuna obbligazione restitutoria a carico di colui che cede il credito, come avviene, invece, nel mutuo o nell’apertura di credito.

In realtà, da un punto di vista funzionale l’imprenditore si procura denaro fresco che può investire e non è un tratto marcante dei contratti di finanziamento l’obbligazione restitutoria, tant’è che il contratto di factoring, nella sua versione più corretta, contempla una cessione dei crediti pro soluto e non pro solvendo.

Il forfaiting, che va latamente inquadrato in una cessione di credito — si è parlato da taluno anche di compravendita di crediti cartolari senza garanzia della solvenza — ha punti di contatto con il factoring, dal quale differisce non soltanto per il diverso oggetto — crediti d’impresa tout court e non crediti cartolari — ma anche perché il factoring può avere ad oggetto anche crediti futuri.

 

9.7. Cessione del credito in luogo dell’adempimento

Ai sensi dell’art. 1198, co. 1, c.c., quando il debitore, in luogo dell’adempimento, cede un credito che egli vanta nei confronti di un terzo, l’obbligazione si estingue con la riscossione del credito ceduto, ossia quando il creditore viene effettivamente pagato dal nuovo debitore: solo in tale momento il debitore originario (cedente) viene liberato (cessione pro solvendo).

Pertanto, nella cessione pro solvendo il creditore cessionario diventa titolare di due crediti concorrenti: l’uno verso il proprio debitore, l’altro verso il debitore ceduto.

All’interno di questa situazione di compresenza il credito originario entra in fase di quiescenza, e rimane inesigibile per tutto il tempo in cui persiste la possibilità della fruttuosa escussione del debitore ceduto, poiché solo quando il medesimo risulta insolvente il creditore può rivolgersi al debitore originario (48).

Le parti, tuttavia, possono trasformare la cessione pro solvendo in cessione pro soluto: in tal caso, la liberazione del creditore cedente avviene indipendentemente dall’adempimento del debitore ceduto, a differenza della cessione pro solvendo, nella quale l’estinzione dell’obbligazione originaria si verifica solo con la riscossione del credito ceduto.

Tuttavia, anche nella cessione pro soluto, l’obbligazione si estingue con il trasferimento del credito se la mancata realizzazione del credito dipende da un fatto del medesimo creditore, e cioè dalla sua negligenza

nell’iniziare o nel proseguire le istanze contro il debitore ceduto (ad es., omette di chiedere il pagamento tramite lettera raccomandata, tralascia di intentare una causa etc.) (art. 1198, co. 2, c.c.).

 

9.8. La cessione legale del credito

La cessione del credito può avere la propria fonte, oltre che nella volontà delle parti, nella legge.

Rappresentano altrettante ipotesi di cessione legale del credito:

  • la surrogazione legale (art. 1203 c.c.), che consiste nella successione, nel lato attivo del rapporto obbligatorio, da parte del terzo adempiente, il quale, a seguito del pagamento, subentra per legge nella posizione del creditore verso il debitore;
  • la surrogazione del fideiussore nei diritti del creditore (art. 1949 c.c.): il fideiussore che ha pagato il debito subentra nei diritti che il creditore aveva nei confronti del debitore;
  • la cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta (art. 2559 c.c.): i crediti si trasferiscono automaticamente a seguito del trasferimento dell’azienda.

 

10. La surrogazione per pagamento

La surrogazione per pagamento consiste nella successione del terzo adempiente nella posizione del creditore.

Tale effetto successorio si realizza anche con la cessione del credito, ma in tal caso deriva da una fattispecie contrattuale.

Funzione della surrogazione è assicurare al terzo che adempie un debito altrui di recuperare quanto pagato, consentendogli di avvalersi delle stesse azioni, garanzie e privilegi del creditore soddisfatto.

La surrogazione per pagamento può avvenire:

  • per volontà del creditore (surrogazione per quietanza: art. 1201 c.c.), nella quale il creditore riceve il pagamento da un terzo e lo sostituisce nei propri diritti verso il debitore;
  • per volontà del debitore (surrogazione per prestito: art. 1202 c.c.), nella quale il debitore che prende a mutuo una somma di denaro per pagare un debito sostituisce il mutuante nei diritti del creditore, anche senza il consenso di quest’ultimo;
  • per legge (surrogazione legale: art. 1203 c.c.), che opera automaticamente in presenza dei presupposti indicati dalla legge.

La surrogazione si differenzia dalla cessione del credito perché:

  • la surrogazione presuppone il pagamento di un debito preesistente, mentre nella cessione del credito si trasferisce il diritto senza che sia ancora avvenuto il pagamento;
  • la surrogazione, a differenza della cessione del credito, non deve essere notificata al debitore o accettata da quest’ultimo.

 

10.1 La surrogazione per volontà del creditore

La surrogazione per volontà del creditore (o «per quietanza») è disciplinata dall’art. 1201 c.c., e ricorre quando un terzo adempie in luogo dell’originario debitore e il creditore, accettando l’adempimento, lo surroga (lo

sostituisce) nei suoi diritti verso il debitore.

La surrogazione nel credito non comporta l’estinzione del debito originario, ma la modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio, con la sostituzione di un terzo all’originario creditore).

L’atto di surrogazione:

— è un atto negoziale, in quanto il creditore dispone del proprio diritto di credito a favore del terzo;

— richiede l’esplicita dichiarazione del creditore di surrogare il terzo nei propri diritti. Tale dichiarazione:

  1. deve essere contemporanea al pagamento (di regola, avviene al momento del rilascio della quietanza), perché altrimenti con il pagamento il terzo estingue l’obbligazione e non può più sostituirsi al debitore; secondo alcuni, però, è ammissibile anche una dichiarazione di surroga effettuata prima del pagamento, con effetto dal momento del pagamento;
  2. è a forma libera, ma non può desumersi dai comportamenti concludenti del creditore.

Ai fini della surrogazione del terzo nei diritti del creditore verso il debitore non occorre l’accettazione di quest’ultimo, né la notificazione a questi della surrogazione.

A seguito della surrogazione il terzo acquista, nei confronti del debitore, tutte le azioni che spettavano al creditore soddisfatto, e il debitore potrà opporre al terzo tutte le eccezioni che poteva opporre al creditore soddisfatto, purché riguardino fatti antecedenti l’adempimento.

La surrogazione opera anche se il credito nel quale il terzo si surroga è oggetto di contestazione, ma non se è prescritto.

La differenza fra surrogazione del terzo per volontà del creditore e cessione di credito consiste esclusivamente nel fatto che la prima presuppone che abbia luogo l’adempimento e che conseguentemente il creditore originario sia messo fuori causa; la seconda lascia intatto il rapporto obbligatorio, in modo che il nuovo creditore si sostituisce all’antico in un rapporto obbligatorio da adempiere.

 

10.2 La surrogazione per volontà del debitore

La surrogazione per volontà del debitore (o «surrogazione per prestito»), disciplinata dall’art. 1202 c.c., ricorre quando il debitore prende a mutuo una somma di danaro o altra cosa fungibile per pagare il debito e surroga il mutuante nei diritti che il creditore soddisfatto vanta nei confronti del debitore stesso.

La surrogazione per volontà del debitore facilita la concessione del mutuo.

Il mutuante, infatti, è incoraggiato a concedere il mutuo in quanto il debitore (mutuatario) gli trasferisce i diritti che il creditore vanta nei confronti del debitore stesso.

La surrogazione produce effetti se concorrono le seguenti condizioni (si tratta, appunto, di condizioni di efficacia della surrogazione):

— il mutuo e la quietanza devono risultare da atto avente data certa;

— nell’atto di mutuo deve essere indicata espressamente la specifica destinazione della somma mutuata (ad es.: «la somma di euro …. serve per pagare il seguente debito: …»);

— nella quietanza deve essere indicata la dichiarazione del debitore sulla provenienza della somma impiegata nel pagamento. Il creditore, richiesto dal debitore, non può rifiutarsi di inserire tale dichiarazione nella quietanza: se si rifiuta, il debitore potrà rifiutarsi di eseguire il pagamento.

La surrogazione in esame, quindi, è l’effetto di un’operazione che si articola in due atti collegati: il mutuo e il pagamento, nel senso che il mutuo deve essere stipulato al fine specifico di effettuare il pagamento (mutuo di scopo: art. 1813 c.c.) e nella quietanza di quest’ultimo deve essere menzionato il primo.

Ai fini della surrogazione non occorre, a differenza della surrogazione per volontà del creditore, il consenso del creditore, poiché è lo stesso debitore — e non un terzo — che soddisfa l’interesse del creditore. È necessario, invece, il consenso del mutuante.

 

10.3 La surrogazione legale (ex lege)

La surrogazione legale (o ex lege) ricorre in tutti quei casi, previsti dall’art. 1203 c.c., in cui la legge autorizza il terzo adempiente a surrogarsi nei diritti del creditore indipendentemente dalla volontà del creditore e del debitore.

Al pari di quella convenzionale, la surrogazione legale comporta il trasferimento del credito dal creditore soddisfatto al soggetto che ha adempiuto.

A differenza della surrogazione per volontà del creditore (art. 1201 c. c.) e di quella per volontà del debitore (art. 1202 c. c.), la surrogazione legale opera automaticamente e non richiede la dichiarazione formale del soggetto che adempie di volersi surrogare, né il consenso del creditore soddisfatto alla surrogazione stessa.

Tuttavia, in senso parzialmente difforme si è affermato che il principio sancito nell’art. 1203 c.c., secondo cui la surrogazione legale ha luogo di diritto, va inteso nel senso che essa opera anche senza il consenso del creditore precedente e del debitore, e non già nel senso che si attua automaticamente indipendentemente dalla dichiarazione del terzo che ha pagato di volersi surrogare al creditore soddisfatto. La volontà di surrogarsi deve essere dichiarata e portata a conoscenza degli interessati.

Ai sensi dell’art. 1203 c.c., la surrogazione legale può verificarsi:

— a favore del creditore (art. 1203, n. 1, c.c.) il quale paga un altro creditore che, per le sue garanzie (privilegi, pegno, ipoteche), ha diritto di essergli preferito. Ad es., A è creditore di B e il suo credito è garantito da ipoteca. Anche C è creditore di B e il suo credito è chirografario (non assistito da alcuna garanzia o privilegio). C paga ad A il credito che questi ha nei confronti di B, e subentra nel diritto di credito che A vantava nei confronti di B (conseguendo anche l’ipoteca);

— a favore dell’acquirente di un immobile ipotecato il quale, fino alla concorrenza del prezzo di acquisto, abbia pagato uno o più creditori a vantaggio dei quali l’immobile è ipotecato (art. 1203, n. 2, c.c.). L’acquirente del bene ipotecato che ha pagato a uno o più dei creditori ipotecari il prezzo d’acquisto, o parte di esso, si surroga per legge nei diritti dei creditori ipotecari. Ad es., A compra da B un immobile sul quale grava ipoteca a garanzia del credito che C vanta nei confronti di B. L’acquirente A paga a C il debito di B, estinguendo l’ipoteca e subentrando nei diritti che C ha nei confronti di B;

— a favore di colui che essendo tenuto con altri o per altri al pagamento del debito, aveva interesse a soddisfarlo (art. 1203, n. 3, c.c.). Ad es., il fideiussore (colui che, con il proprio patrimonio, garantisce un debito altrui) A paga al creditore C il debito del debitore principale B: A succederà nei diritti che C vanta nei confronti di B;

— a favore dell’erede con beneficio d’inventario che paga con denaro proprio i debiti ereditari. Ad es., A accetta con beneficio d’inventario l’eredità di B e paga con denaro proprio (non dell’eredità) i debiti che B aveva nei confronti di C. A subentra nei diritti che C vantava nei confronti di B (e ora dell’eredità);

— negli altri casi stabiliti dalla legge. Si pensi alla surrogazione a favore dell’assicuratore che ha pagato l’indennità all’assicurato contro i danni. L’assicuratore subentra nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili del danno fino all’ammontare dell’indennità pagata (art. 1916, co. 1, c.c.).

 

10.4 Effetti

Il pagamento con surrogazione comporta la sostituzione del terzo adempiente nella posizione del creditore. Tale sostituzione implica che:

— il terzo acquista il diritto spettante al creditore;

— il terzo acquista il diritto di credito con tutti gli accessori (ad es., il terzo ha diritto agli interessi con le stesse modalità e nella misura dovuta al creditore soddisfatto);

— i diritti di garanzia reali e personali si trasferiscono a favore del terzo;

— se il creditore era munito di titolo esecutivo, questo può essere fatto valere dal terzo;

— il terzo che adempie acquista la stessa posizione del creditore, per cui il debitore può opporgli le stesse eccezioni che erano opponibili al creditore. Infatti, poiché la surrogazione non comporta l’estinzione dell’obbligazione ma soltanto la sostituzione del terzo surrogato nei diritti spettanti al creditore soddisfatto, il debitore può opporre al terzo surrogato tutte le eccezioni che poteva opporre al creditore originario relative alla validità del titolo costitutivo del credito nel quale il terzo si è surrogato, ai fatti estintivi, modificativi o sospensivi del rapporto obbligatorio anteriori alla surrogazione etc.;

— il terzo assume le stesse responsabilità del creditore.

La surrogazione ha effetto anche contro i terzi che hanno prestato garanzia per il debitore, i quali restano obbligati anche nei confronti del nuovo creditore (art. 1204, co. 1, c.c.).

 

10.5 Surrogazione parziale

Se il pagamento è parziale, il terzo surrogato e il creditore concorrono nei confronti del debitore in proporzione di quanto è loro dovuto, salvo patto contrario (art. 1205 c.c.).

Ad es., Tizio deve 1.000 euro a Caio. Mevio paga a Caio metà del debito di Tizio (500 euro).

Caio e Mevio sono creditori ognuno di 500 euro nei confronti di Tizio e nessuno di loro ha ragione di essere preferito (pagato per primo), salvo che esista un accordo diverso.

Il terzo che paga soltanto in parte si surroga nei limiti della somma pagata.

Tuttavia, l’art. 1205, ult. parte, c.c. fa salvo il patto contrario, per cui le parti possono stabilire che il terzo adempiente si sostituisca al creditore, in caso di pagamento parziale, in tutti i diritti vantati dallo stesso nei confronti del debitore. Il patto contrario deve essere contestuale al pagamento parziale.

 

11. La delegazione attiva

Il codice civile si occupa solamente della delegazione passiva. Ciò non impedisce, però, di ritenere configurabile anche la delegazione dal lato attivo del rapporto obbligatorio.

Mentre la delegazione passiva presuppone l’esistenza di due debitori e un creditore (A deve 100 a B e delega C a pagare: A e C sono debitori, B è creditore), quella attiva richiede l’esistenza di due creditori e un debitore (A è creditore di B e delega C ad assumere il credito o a ricevere il pagamento: A e C sono creditori, B è debitore).

La delegazione attiva può consistere:

— in una delegazione di credito, se il creditore delegante assegna al debitore un nuovo creditore verso il quale il debitore si obbliga, senza liberazione nei confronti del delegante;

— in una delegazione di pagamento, se il creditore delegante autorizza un terzo a ricevere il pagamento di un’obbligazione scaduta.

La delegazione attiva si differenzia dalla cessione del credito perché l’effetto naturale della delegazione attiva consiste nel cumulo delle posizioni creditorie e non nella successione di un creditore all’altro.

Nella delegazione attiva non è un debitore (come nella delegazione passiva), ma un creditore, a prendere l’iniziativa dell’operazione, delegando un terzo ad accettare una promessa obbligatoria fattagli dal proprio debitore e a rendersi così nuovo creditore di quest’ultimo.

Non tutti, però, ritengono fondata la distinzione tra delegazione attiva e passiva: si tratterebbe, infatti, dello stesso fenomeno considerato da opposti punti di vista, secondo la diversa veste in cui si presenta il delegante: di debitore (del delegatario) nella delegazione passiva e di creditore (del delegato) nella delegazione attiva.

Certo è che la delegazione attiva non può identificarsi con la cessione del credito, non avendosi, nella delegazione attiva, come invece nella cessione del credito, una vicenda traslativa: finalità della delegazione attiva – secondo chi ammette tale figura – è quella di «aggiungere» un nuovo creditore a quello originario o di «sostituire» (per asserita novazione) questo con il nuovo.

 

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