L’OBBLIGAZIONE
PARTE I
di Max Di Pirro
- Il rapporto obbligatorio (e i suoi fratelli).
- Le fonti atipiche e il contatto sociale.
- Il cumulo delle responsabilità e il problema del cumulo tra responsabilità contrattuale e precontrattuale.
1. Il rapporto obbligatorio (e i suoi fratelli). Il codice civile dedica all’obbligazione in generale gli artt. 1173-1320, che regolano fra l’altro l’adempimento e l’inadempimento delle obbligazioni, i modi di estinzione diversi dall’adempimento, le vicende traslative del credito e del debito nonché taluni tipi di obbligazione (pecuniaria, alternativa, solidale e indivisibile).
Il termine obbligazione indica il rapporto obbligatorio, costituito dalla situazione attiva in capo al creditore (diritto di credito) e da quella passiva del debitore (debito od obbligazione in senso stretto).
L’oggetto dell’obbligazione consiste nella prestazione, che indica il comportamento al quale è tenuto il debitore.
L’obbligazione va distinta da figure affini.
- nel rapporto obbligatorio al creditore è concessa una pretesa, tutelata dall’ordinamento, per ottenere l’adempimento del debitore. Nelle obbligazioni naturali, invece, il creditore non può agire in giudizio per ottenere l’adempimento, mentre al debitore che adempie non è concessa la restituzione (ripetizione) di quanto pagato: così avviene per i debiti di gioco e scommessa (art. 1933 c.c.), per i debiti aventi causa turpe (art. 2035 c.c.), per il debito prescritto (art. 2940 c.c.) e, più in generale, per i debiti imposti da doveri morali o sociali (art. 2034 c.c.);
- nell’obbligazione il comportamento del debitore è da solo sufficiente a soddisfare l’interesse del creditore. Questo profilo consente di distinguere il diritto di credito dal diritto potestativo, che invece attribuisce al titolare il potere di modificare la situazione giuridica altrui con un proprio atto unilaterale, efficace nei confronti del destinatario senza necessità della sua cooperazione. Mentre al credito corrisponde l’obbligo del debitore, al diritto potestativo corrisponde la soggezione dei controinteressati;
- l’obbligazione propter rem (ad es., quella gravante sul fondo servente per il pagamento delle spese relative alla servitù) è del tutto simile all’obbligazione nella struttura, poiché l’interesse del titolare è soddisfatto dal comportamento del debitore, ma si differenzia dal normale rapporto obbligatorio perché il soggetto passivo è determinato mediante il riferimento alla titolarità di un diritto reale (ad es., proprietà del fondo servente): l’obbligazione propter rem ha quindi natura ambulatoria, trasmettendosi automaticamente al nuovo titolare del diritto reale, e può essere estinta per abbandono liberatorio (v. art. 1070 c.c.).
2. Le fonti atipiche e il contatto sociale. A differenza del codice civile abrogato, il quale, all’art. 1097, elencava in via tassativa cinque fonti delle obbligazioni, ovvero la legge, il contratto, il quasi-contratto (gli atti giuridici in senso stretto, di natura non negoziale, come la gestione d’affari o il pagamento dell’indebito), il delitto e il quasi-delitto (le fattispecie in cui il soggetto risponde di un danno per un fatto non proprio ma riconducibile ad altri soggetti o a circostanze esterne, ad es. i danni cagionati dai dipendenti o da cose in custodia), l’art. 1173 c.c. prende in considerazione, quali fonti delle obbligazioni, il contratto, il fatto illecito e «ogni altro fatto idoneo» a produrle in conformità all’ordinamento giuridico.
Anche da contratti invalidi, nulli o annullabili, possono sorgere obbligazioni, così come da alcuni atti leciti dannosi (l’esempio tipico è quello delle fattispecie contemplate dagli artt. 843 e 924 c.c.) possono rappresentare fonti di obblighi di riparazione.
Il richiamo al fatto illecito di cui all’articolo in esame non si riferisce solo ed esclusivamente al principio generale sancito dall’art. 2043 ma anche a fatti dannosi di origine diversa, come, ad esempio, quelli di cui agli artt. 2045, 2046 e 2049 c.c.
Invece, la locuzione «ogni altro atto o fatto idoneo a produrle» fonda l’atipicità del sistema delle fonti dell’obbligazione. Vi rientrano, ad es.:
- la gestione di affari, il pagamento dell’indebito e l’arricchimento senza causa;
- la condotta della banca girataria per l’incasso che esegua il pagamento di un assegno non trasferibile in favore di una persona diversa dal beneficiario, in violazione dell’obbligo di accertamento dell’identità e della legittimazione di chi presenta l’assegno, prescritto all’art. 43, R.D. 1736/1933;
- la violazione del principio di ragionevole durata del processo di cui alla L. 89/2001;
- gli obblighi del mediatore, qualora l’attività di cui all’art. 1754 dipenda da un comportamento di mera messa in contatto tra due o più soggetti per la conclusione di un affare senza il previo conferimento di un incarico;
- l’omessa o tardiva trasposizione, nell’ordinamento interno, delle direttive eurounitarie, con conseguente responsabilità dello Stato-legislatore;
- le obbligazioni senza prestazione (poste alla base della responsabilità da contatto sociale), ossia obblighi di comportamento posti in capo a un soggetto per la tutela della sfera giuridica altrui (Castronovo). Tali obblighi derivano da un rapporto paracontrattuale, ovvero da un evento che mette in relazione due soggetti facendo sorgere, in capo a uno dei due o a entrambi, accanto all’obbligo principale di prestazione, obblighi reciproci di buona fede, di protezione e di informazione ai sensi degli artt. 2 Cost., 1175 c.c. e 1375 c.c. Il mancato adempimento di tali obblighi fa sorgere una responsabilità cui è applicabile in via diretta la disciplina degli artt. 1218 ss. c.c., pur non trattandosi di responsabilità di fonte strettamente contrattuale.
Questa tesi è stata sviluppata dalla giurisprudenza per affermare la responsabilità del medico per i danni causati al paziente.
Il leading-case in materia è Cass. 589/1999:
“non si può criticare la definizione come “contrattuale” della responsabilità del medico dipendente di struttura sanitaria, limitandosi ad invocare la rigidità del catalogo delle fonti ex art. 1173 c.c., che non consentirebbe obbligazioni contrattuali in assenza di contratto. Infatti, la più recente ed autorevole dottrina ha rilevato che l’art. 1173 c.c., stabilendo che le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito o da altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico, consente di inserire tra le fonti anche i principi, soprattutto di rango costituzionale (tra cui può annoverarsi il diritto alla salute), che trascendono singole proposizioni legislative. Si fa riferimento, in questi casi, al “rapporto contrattuale di fatto o da contatto sociale”. Con questa espressione si riassume una duplice veduta del fenomeno, riguardato sia in ragione della fonte (il fatto idoneo a produrre l’obbligazione in conformità dell’ordinamento – art. 1173 c.c.-) sia in ragione del rapporto che ne scaturisce. La categoria mette in luce una possibile dissociazione tra la fonte e l’obbligazione che ne scaturisce. Quest’ultima può essere sottoposta alle regole proprie dell’obbligazione contrattuale anche se il fatto generatore non è il contratto. In questa prospettiva, quindi, si ammette che le obbligazioni possano sorgere da rapporti contrattuali di fatto nei casi in cui taluni soggetti entrino in contatto, senza che tale contatto riproduca le note ipotesi negoziali, e pur tuttavia ad esso si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso. In questi casi non può esservi (solo) responsabilità aquiliana, poiché questa non nasce dalla violazione di obblighi ma dalla lesione di situazioni giuridiche soggettive altrui; quando ricorre la violazione di obblighi, la responsabilità è necessariamente contrattuale, poiché il soggetto non ha fatto ciò a cui era tenuto in forza di un precedente vinculum iuris, secondo lo schema caratteristico della responsabilità contrattuale”.
3. Il cumulo delle responsabilità e il problema del cumulo tra responsabilità contrattuale e precontrattuale. L’obbligazione può derivare contemporaneamente da fonti diverse: l’ipotesi più frequente nella prassi è quella in cui una condotta dolosa o colposa sia lesiva non solo dei diritti derivanti da un rapporto contrattuale ma anche di altri interessi extracontrattuali, ossia interessi tutelati nella vita di relazione. In questo caso possono applicarsi i rimedi previsti per le due forme di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale.
Presupposto del cumulo delle relative azioni è che uno stesso fatto dannoso integri gli estremi dell’inadempimento contrattuale e del torto aquiliano.
I casi più frequenti di cumulo della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale riguardano:
- la responsabilità del vettore per i danni alle persone trasportate (a titolo oneroso o gratuito). In favore del danneggiato va riconosciuta, in concorso con l’azione per la responsabilità contrattuale, quella per la responsabilità extracontrattuale, configurando il fatto dannoso, al contempo, inadempimento delle obbligazioniinerenti al contratto di trasporto e violazione del neminem laedere. Il venir meno di una di tali azioni non pregiudica, pertanto, l’esperibilità dell’altra;
- il mancato adempimento dell’obbligo, stabilito dall’art. 2087 c.c., di adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei dipendenti; in tal caso, la responsabilità contrattuale dell’imprenditore, derivante dal contratto di lavoro, può concorrere con la responsabilità extracontrattuale dello stesso datore di lavoro qualora dalla medesima violazione sia derivata anche la lesione dei diritti che spettano alla persona del lavoratore indipendentemente dal rapporto di lavoro, cosicché il danneggiato può servirsi dell’azione contrattuale e di quella extracontrattuale.
Un problema particolare riguarda la cumulabilità della responsabilità contrattuale e precontrattuale.
L’art. 1337 c.c. prevede che, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, le parti devono comportarsi secondo buona fede, da intendersi in senso oggettivo: una regola di condotta che impone alle (future) parti contrattuali di comportarsi con lealtà e correttezza.
La giurisprudenza ha sempre interpretato in maniera restrittiva la portata del principio, confinandolo all’ipotesi di ingiustificata interruzione delle trattative.
L’unica alternativa è data dall’1338 c.c., che impone, a chi ometta di comunicare cause conosciute di invalidità del contratto, l’obbligo di risarcire il danno subito dalla parte ignara.
In sintesi, la responsabilità precontrattuale può essere invocata o per ingiustificata rottura delle trattative ex art. 1337 c.c. o per contratto invalido ex art. 1338 c.c. Confinato il principio in questi ambiti, diventa impossibile parlare di responsabilità precontrattuale e di risarcimento in presenza di un contratto valido. In diverse pronunce, infatti, la Cassazione ha statuito che, nel momento in cui le trattative sfociano in un contratto, perdono ogni autonomia e rilevanza giuridica, restando assorbite nello stesso, il quale diviene l’unica fonte di responsabilità. Di conseguenza, restano anche assorbiti tutti quei comportamenti, astrattamente censurabili come insidiosi e contrari a buona fede, tenuti prima del perfezionarsi del vincolo.
Invece, la dottrina maggioritaria, sfruttando tutte le potenzialità della norma, ravvisa nell’art. 1337 c.c. la fonte di un principio generale che tutela la buona fede nel momento della formazione della volontà negoziale a prescindere dalla validità del contratto stipulato.
La ratio della responsabilità contrattuale e della responsabilità precontrattuale è diversa: la prima tutela l’adempimento delle obbligazioni assunte, la seconda tutela l’affidamento della controparte (non nella conclusione del contratto, ma) sul reciproco comportamento secondo buona fede in ogni momento dell’attività negoziale, da quello preparatorio a quello genetico.
Vi sono, del resto, previsioni di legge che sono specificazioni dell’art. 1337 c.c. e che presuppongono il principio di buona fede nella fase genetica della formazione del negozio. Tali disposizioni lasciano intendere che l’art. 1337 sia la fonte di un principio generale, ed estende la copertura della norma oltre la fase delle trattative fino a quella della formazione del contratto:
- l’art. 1440 c.c. prevede, in caso di dolo, che – laddove i raggiri, pur non essendo stati tali tale da determinare il consenso, abbiano tuttavia convinto una parte a contrarre a condizioni diverse – il contratto resta valido, ma il contraente in mala fede risponde dei danni;
- l’art. 1398 c.c., in tema di rappresentanza, stabilisce che colui che abbia stipulato il contratto senza averne i poteri, è responsabile del danno che il terzo contraente ha sofferto per aver confidato nella validità del contratto;
- l’art. 1812 c.c. obbliga il comodante a risarcire al comodatario i danni causati dai vizi della cosa data in comodato di cui fosse a conoscenza.
Queste norme sono accomunate da tre profili:
- siamo in presenza di contratti validi ed efficaci;
- una parte, nella fase precontrattuale, si è comportata contrariamente alla buona fede, nascondendo qualcosa o utilizzando raggiri;
- tale comportamento non genera l’invalidità del vincolo ma fa sorgere una responsabilità risarcitoria.
Si tratta di una responsabilità da danno ingiusto riconducibile al nemin laedere, e, in particolare, a quella specificazione della responsabilità extracontrattuale che è la responsabilità precontrattuale.
La responsabilità precontrattuale così intesa non interferisce con la validità del contratto – la quale trova in altre norme la sua disciplina in modo del tutto autonomo e indipendente – ma fornisce uno strumento di carattere risarcitorio per riportare equilibro fra prestazioni sbilanciate a causa della condotta sleale di una parte.
Di conseguenza, quando non ci sia una norma ad hoc come quelle sopra citate e, tuttavia, si ravvisi una mala fede nelle trattative, con conseguente danno ingiusto, potrà applicarsi l’art. 1337 c.c.
Ad esempio, in materia di appalto il committente, laddove abbia previsto maggiori difficoltà di esecuzione dei lavori omettendo di comunicarle all’ignaro appaltatore, risponde ex art. 1337 c.c. anche se il contratto di appalto, valido ed efficace, è in fase di esecuzione.
Cass. 16937/2006 si è tuttavia pronunciata in senso contrario al cumulo tra l’azione contrattuale e precontrattuale, poiché:
- se le trattative sfociano nel contratto, perdono ogni autonomia giuridica, scomparendo nel contratto stipulato, e da questo momento in poi le azioni esercitabili sono soltanto quelle contrattuali (annullamento, risoluzione, ecc.);
- se le trattative non sfociano in un contratto, possono essere fonte di responsabilità precontrattuale in presenza di un’ingiustificata rottura delle stesse.
Ad esempio, in caso di contratto concluso con un incapace, l’unica azione a disposizione della parte promissaria acquirente, che abbia già eseguito la propria prestazione, è quella contrattuale prevista dall’art. 1443 c.c., senza che possa esercitarsi, in via cumulativa, un’altra azione, di tipo extracontrattuale, riconducibile alla malafede del soggetto incapace durante le trattative; e ciò alla stregua della stipulazione del contratto, che comporta la perdita di ogni autonomia e di ogni giuridica rilevanza di dette trattative, convergendo, sotto il profilo risarcitorio, nella nuova struttura contrattuale che, pertanto, viene a costituire la sola fonte di responsabilità risarcitoria.
(segue)
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