Violenza domestica e revenge porn ai tempi del coronavirus Oltre al dato normativo, anche consigli utili su cosa fare in situazioni pericolose

 

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5 min di lettura

L’epidemia da coronavirus 2020 in atto costringe milioni di persone nel mondo ad affrontare un cambiamento di abitudini e, in molti casi, ad una convivenza strettissima mai sperimentata: ogni gruppo familiare trascorre l’intera giornata fra le mura domestiche mentre prima di questa emergenza si era abituati ad uscire per recarsi al lavoro, ad avere svaghi di ogni tipo e in casa, forse, si restava poco.

L’isolamento imposto dal decreto #iorestoacasa rischia di generare una ulteriore emergenza, quella delle violenze domestiche.

Cosa succede in caso di violenza domestica durante l’isolamento per coronavirus?

Cosa prevede il legislatore in caso di violenza domestica?

Usiamo il termine violenza domestica per descrivere in generale tutti quei comportamenti violenti nei confronti di soggetti deboli: anziani, donne, bambini.

Sulla G.U. del 25 luglio 2019 è stata pubblicata la legge 19 luglio 2019, n. 69 (recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”) denominata “Codice Rosso”, in vigore dal 9 agosto.

Il provvedimento, oltre a inasprire le pene per gli autori delle condotte di maltrattamenti in famiglia, stalking  e violenza sessuale ha introdotto anche in Italia il reato di revenge porn, con la denominazione di diffusione illecita di immagini o di video sessualmente espliciti.

Il nuovo reato di revenge porn

L’articolo 612 ter del codice penale rubricato “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (revenge porn) prevede:

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video di organi sessuali o a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro.

La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.

La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici.

La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.

 Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procederà tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

E’ evidente che l’attenzione del legislatore si è focalizzata su recenti episodi di cronaca che hanno riguardato la diffusione illecita di immagini e video privati, avvenuta senza il consenso di chi ne è protagonista.

E’ da considerare sempre, quando si tratta di diffusione di immagini e video su larga scala, che ciò può avvenire attraverso i canali social e in generale tutti gli strumenti del web dei quali si fa spesso uso in sostituzione di un contatto reale; per questo molti esperti si preoccupano che il revenge porn, così come altri reati connessi all’utilizzo di smartphone e pc possano incrementare nel periodo di quarantena.

Le altre figure incriminatrici

Non certo è meglio la situazione di chi la violenza, fisica o psicologica, la vive all’interno delle mura domestiche.

La L. 69/2019 ha introdotto nel codice penale, oltre al revenge porn:

  • il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, sanzionato con la reclusione da otto a 14 anni. Quando, per effetto del delitto in questione, si provoca la morte della vittima, la pena è l’ergastolo;
  • il reato di costrizione o induzione al matrimonio, punito con la reclusione da uno a cinque anni. La fattispecie è aggravata quando il reato è commesso a danno di minori e si procede anche quando il fatto è commesso all’estero da o in danno di un cittadino italiano o di uno straniero residente in Italia;
  • violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, sanzionato con la detenzione da sei mesi a tre anni.

Violenza domestica ai tempi del coronavirus: che fare?

Che fare in caso di violenza domestica durante l’isolamente per coronavirus? Per le vittime della violenza domestica è attivo il numero 1522 h 24 e molte Regioni hanno previsto ulteriori linee telefoniche di sostegno, supporto ed intervento nei casi più gravi di violenza domestica. Già da tempo inoltre sono operativi sui territori strutture che tutelano le vittime di violenza (centri antiviolenza) e consultando il sito www.direcontrolaviolenza.it per individuare il centro antiviolenza più vicino per chiedere aiuto.

In caso di pericolo immediato, invece, ci si può rivolgere alle forze dell’ordine o al pronto intervento, chiamando i numeri 112 (Carabinieri), 113 (Polizia) o 188 (Emergenza sanitaria).

Nonostante le restrizioni agli spostamenti  imposte dal decreto, ovviamente le vittime di violenza possono uscire di casa, per recarsi in un centro o dalle forze dell’ordine e chiedere aiuto, trattandosi di situazioni di necessità.

 

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