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Un’entità biologica invisibile, di dimensioni microscopiche, totalmente incapace di sopravvivere se non riesce a entrare in un’altra cellula e a servirsene per replicarsi. Tanto è bastato alla natura non soltanto per ricordarci ancora una volta la nostra fragilità, ma anche per svelarci quella di un intero sistema sociale ed economico tessuto per decenni, a livello planetario, dal ricco Occidente, seguendo una sola logica: quella del profitto individuale.
La tanto decantata “globalizzazione” diciamo noi contemporanei, le “magnifiche sorti e progressive” avrebbe detto, non senza sarcasmo, il poeta di Recanati.
Perché è qui in fondo che risiede la grandezza di certi geni: nella loro potenza visionaria, nel valore universale della loro opera, nella capacità di indagare tra le pieghe dell’animo umano e di leggere con straordinario coraggio e raziocinio la realtà, arrivando talvolta a presagirne di sviluppi.
E allora, in questi giorni di solitudine forzata e di paura di fronte alla rinnovata consapevolezza della nostra precarietà, sembra quasi di sentirlo il poeta mentre ci ricorda, nell’ultimo dei suoi componimenti, scritto alle pendici del Vesuvio, che non da ora ma da sempre siamo come l’odorata ginestra, che fiorisce su l’arida schiena del formidabil monte, un piccolo fiore, contento de’ deserti, che un semplice fiato d’aura maligna può annientare in qualunque momento, o mentre inveisce, per i facili entusiasmi di chi ostinatamente esalta il “progresso”, contro il secol superbo e sciocco. Il suo certo, ma anche il nostro, che troppo spesso dimentica come l’uomo possa vivere sereno e in pace soltanto se anche i suoi simili godono di un’analoga condizione.
E sembra ancora di sentirlo Leopardi quando, in un’estrema tensione dell’intelletto e della volontà, ci indica la via di salvezza. La sola via possibile: la solidarietà tra simili, quella social catena che oggi rappresenta per noi tutti l’unica difesa contro un nemico inatteso, ma che dovrebbe diventare – una volta scampato il pericolo e se la storia ci insegnerà finalmente qualcosa – la cifra assoluta di un nuovo percorso, capace finalmente di tenere nella giusta considerazione la comunità umana nella rete indistricabile delle sue relazioni e interdipendenze, e delle sue connessioni con il pianeta che la ospita.
Ancora una volta, insomma, il poeta amato da tante generazioni si sottrae alla valutazione di certa tradizione critica che da sempre lo liquida come il cantore del pessimismo, anzi dei pessimismi, immagine che di norma passa agli studenti, e si rivela, in tutta la sua grandezza, interprete acuto, moderno e coraggioso della condizione umana. Fuori dal tempo e dallo spazio.
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