Analfabetismo digitale: che cosa insegna alla scuola l’esperienza della didattica a distanza?

 

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Qualora ce ne fosse ancora bisogno, l’emergenza del Coronavirus, con le scuole chiuse e la didattica a distanza come unico strumento utilizzabile da docenti e studenti, insegna che oggi, e sempre di più in un mondo imprevedibile e interdipendente come il nostro, a contare sono le competenze.

E questa volta a essere chiamate in causa sono soprattutto quelle digitali. Siamo pronti?

A leggere l’ultimo Rapporto dell’OCSE, Skills Outlook 2019, non sembrerebbe affatto: dallo studio, infatti, si evince che in Italia solo il 21 % delle persone tra i 16 e i 65 anni è “alfabetizzato digitale” (peggio di noi solo Turchia e Cile), che un italiano su tre non sa navigare in Internet e che pochi docenti sanno insegnarlo nelle scuole.

A quest’ultimo proposito ci sarebbe una ulteriore osservazione da fare: i cosiddetti nativi digitali, che costituiscono la totalità della popolazione scolastica, tecnicamente ne sanno in media molto di più degli insegnanti. Ma questa, che potrebbe sembrare una buona notizia, costituisce in realtà un ulteriore elemento di criticità se consideriamo la quasi totale mancanza di consapevolezza e selettività nell’utilizzo delle tecnologie digitali o nell’approccio ai contenuti della Rete da parte degli studenti.

Qui peraltro entra in gioco un’altra competenza, forse la più importante tra quelle elencate tra le otto competenze chiave di cittadinanza che la scuola dovrebbe aiutare ad acquisire: imparare a imparare.

Imparare a imparare anche attraverso le tecnologie informatiche.

E questo non vuol dire semplicemente saper leggere un file PDF, utilizzare correttamente un’App, confrontarsi in una videochat o navigare nella Rete (sono operazioni che sul piano “tecnico” i ragazzi sono già capaci di fare), significa innanzitutto saper utilizzare tutti questi strumenti criticamente, imparando a reperire le informazioni, a rapportarsi adeguatamente con la comunità virtuale, a costruire e organizzare con efficacia il proprio sapere.

E, a latere, significa anche sapersi muovere correttamente e in sicurezza all’interno del mare magnum del web, imparando a coglierne le opportunità e a scansarne i pericoli, che non sono pochi.

 

Imparare a imparare attraverso le tecnologie informatiche significa, in una sola espressione, saper essere dei buoni cittadini digitali.

Ancora una volta, insomma, la scuola è chiamata a svolgere il suo complesso ruolo educativo fronteggiando una difficoltà in più: riuscire a decodificare e fare proprio un linguaggio nuovo (quanto nuovo probabilmente lo sta spiegando anche l’uso “forzato” della didattica a distanza in questi giorni di emergenza). Un codice per tanti insegnanti ancora ostico, che viaggia attraverso canali completamente estranei ai modelli di insegnamento conosciuti e praticati finora.

Ma tant’è. Resta il prezzo da pagare se ci si vuole confrontare con le nuove generazioni, figlie – e non per propria scelta – della rivoluzione informatica che noi stessi abbiamo innescato, e con le quali, volenti o nolenti, bisogna imparare a comunicare.

Susanna Cotena

 

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