“Non posso credere che siano i commercianti gli autori di quella folle guerriglia urbana alla quale stiamo assistendo, quanto più persone che vogliono creare disordini”.
Gli atti di violenza, l’attacco ai rappresentanti delle forze dell’ordine, sempre inaccettabili durante le manifestazioni in un paese democratico, al di là della valutazione delle ragioni dei manifestanti, sono spesso “archiviati” come il gesto di una minoranza facinorosa, che persegue i suoi personali fini, o è animata da una gratuita tendenza all’uso della violenza.
Non vi è ragione di mettere in discussione il contenuto di questa affermazione; ma come si spiega che spesso a partecipare a questi atti di violenza, o attivamente o con una passiva connivenza, senza prenderne cioè le distanze morali e “fisiche” all’interno della manifestazione, siano anche tanti altri manifestanti?
Una prima risposta potrebbe essere che purtroppo la violenza dilaga e che i violenti e facinorosi non possono essere ottimisticamente catalogati come una sparuta minoranza. Ma vi è un’altra più complessa risposta, che attiene ai comportamenti che assume l’individuo, al di là della sua natura e della sua educazione, quando entra occasionalmente a far parte di una moltitudine, che potremmo definire “folla” o “massa”.
Ce ne offre un saggio ancora una volta Alessandro Manzoni nei Promessi sposi, descrivendo il tumulto di Milano e l’assalto alla casa del vicario di provvisione.
Ancora una volta, alla base della manifestazione vi è la fame, la disperazione di chi sta subendo le conseguenze drammatiche della carestia. Ma la legittima manifestazione sfocia prima in atti di aggressione contro i fornai e i loro forni, per convogliare poi nella decisione di “giustiziare” il vicario di provvisione, che sarà messo in salvo dal gran cancelliere Ferrer:
“Chi con ciottoli picchiava su’ chiodi della serratura, per isconficcarla; altri, con pali e scarpelli e martelli, cercavano di lavorar più in regola: altri poi, con pietre, con coltelli spuntati, con chiodi, con bastoni, con l’unghie, non avendo altro, scalcinavano e sgretolavano il muro, e s’ingegnavano di levare i mattoni, e fare una breccia. Quelli che non potevano aiutare, facevan coraggio con gli urli”.
A questo punto il narratore si concede una digressione, in cui il comportamento della folla, oggetto di questa viva e drammatica rappresentazione, trova la sua definizione e spiegazione.
Nell’incipit egli disegna una sorta di composizione interna della folla: essa è costituita da alcuni individui, uniti dal comune disegno di fomentare il tumulto, fino ai gesti estremi di violenza, e da altri che cercano di produrre effetti contrari; ma non si tratta che di minoranze, in mezzo alle quali si colloca la “massa”, che è un “miscuglio accidentale” oscillante tra l’uno e l’altro estremo, “pronti alla ferocia e alla misericordia, a detestare e ad adorare, secondo che si presenti l’occasione di provar con pienezza l’uno o l’altro sentimento; avidi ogni momento di sapere, di credere qualche cosa grossa, bisognosi di gridare, d’applaudire a qualcheduno, o d’urlargli dietro”. Essa non è l’anima del tumulto, ma il suo corpo, anzi il “corpaccio”, conteso tra le due anime, quella più sediziosa e quella più moderata e legalista, delle quali però costituisce, per il numero e la forza, l’indispensabile arma e lo strumento per la realizzazione dei propri fini:
“Siccome però questa massa, avendo la maggior forza, la può dare a chi vuole, così ognuna delle due parti attive usa ogni arte per tirarla dalla sua, per impadronirsene: sono quasi due anime nemiche, che combattono per entrare in quel corpaccio, e farlo movere”.
Di qui lo studio e l’attenzione a coglierne gli umori, scegliere le parole giuste, o, per meglio dire, le voci e le grida da propagare, per volgere a proprio favore la massa ondeggiante:
“Fanno a chi saprà sparger le voci più atte a eccitar le passioni, a dirigere i movimenti a favore dell’uno o dell’altro intento; a chi saprà più a proposito trovare le nuove che riaccendano gli sdegni, o gli affievoliscano, risveglino le speranze o i terrori; a chi saprà trovare il grido, che ripetuto dai più e più forte, esprima, attesti e crei nello stesso tempo il voto della pluralità, per l’una o per l’altra parte”.
Pur nei limiti delle notevoli differenze epocali e culturali, è possibile cogliere nel racconto di Manzoni significative analogie con l’analisi della “psicologia delle folle”, che mezzo secolo più tardi operò Gustave Le Bon, dimostrando come Manzoni abbia saputo precorrere e intuire le teorie della moderna indagine sui comportamenti e sulla psiche dell’uomo.
Concludiamo queste brevi osservazioni con alcuni passaggi significativi della prima parte del saggio di Le Bon:
“Nel senso consueto, la parola folla rappresenta una riunione di individui qualsiasi, qualunque sia la loro nazionalità, la professione e il sesso, qualunque siano i casi che li riuniscano.
Dal punto di vista psicologico, l’espressione “folla” assume un significato ben diverso. In talune circostanze prestabilite, e soltanto in tali circostanze, un agglomeramento di uomini possiede caratteri nuovi, molto diversi da quelli degli individui di cui esso si compone. La personalità cosciente svanisce, i sentimenti e le idee di tutte le unità sono orientate in una stessa direzione. Si forma un’anima collettiva, senza dubbio passeggera, ma che presenta ben precisi caratteri. La collettività diventa allora ciò che, per mancanza di una migliore espressione, io chiamerei una folla organizzata, o, se lo preferite, una folla psicologica. Essa forma un solo essere e si trova sottomessa alla legge dell’unità mentale delle folle.
[…]
Diverse cause determinano l’apparizione dei caratteri particolari alle folle. La prima consiste nel conferire agli individui di una folla, per il solo fatto del numero, un sentimento di potenza invincibile che permette loro di cedere agli istinti, che individui isolati avrebbero saputo frenare. L’individuo cederà tanto più volentieri inquantoché nella folla, essendo essa anonima, e di conseguenza irresponsabile, il sentimento della responsabilità che sempre trattiene gli individui, scompare completamente.
Una seconda causa, il contagio mentale, interviene ugualmente per determinare nelle folle la manifestazione di caratteri speciali e nello stesso tempo il loro orientamento. Il contagio è un fenomeno facile a constatarsi, ma non ancora spiegato, e che bisogna ricollegare ai fenomeni di ordine ipnotico che noi fra poco studieremo. In una folla, ogni sentimento, ogni atto è contagioso […]. Una terza causa, e assai più importante, determina negli individui in folla dei caratteri speciali a volte intensamente opposti a quelli dell’individuo isolato. Voglio dire della suggestionabilità, il cui contagio, sopra menzionato, non è del resto che un effetto”.
Riflessioni da proporre al riguardo agli studenti in riferimento a “Cittadinanza e Costituzione”
art. 17
I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi.
Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.
Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.
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