Cons. giust. amm. Sicilia, 21-1-2015, n. 49
MASSIME
Per i contratti tra pubblica amministrazione e privati, l’art. 21 sexies L. 241/1990 ammette il recesso nei casi stabiliti dalla legge o dal contratto con disposizione da alcuni ritenuta “superflua” e da altri “inutiliter scripta”. Tale norma ha l’importante funzione di escludere “l’esistenza di un generale e immanente potere di recesso” per operare “una traslazione dell’istituto nell’alveo del diritto comune” individuando chiaramente le fonti che legittimano il recesso anche quando parte del contratto è un’amministrazione. Il recesso contrattuale va tenuto distinto dal potere pubblicistico di revoca degli atti di gara, consentendo, l’art. 21-quinquies, all’amministrazione, di revocare in autotutela il provvedimento per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. La revoca determina l’inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo.
La revoca pubblicistica di cui all’art. 21 quinquies L. 241/1990 e il recesso dal contratto devono essere tenuti distinti perché: a) il potere di revoca della procedura di affidamento si colloca nell’ambito dell’azione amministrativa di tipo pubblicistico mentre il recesso contrattuale, lasciando impregiudicata la serie pubblicistica degli atti, incide solo sul vincolo contrattuale; b) è differente la qualificazione della posizione giuridica vantata dal privato nei confronti della revoca pubblicistica (interesse legittimo) e del recesso contrattuale (diritto soggettivo); c) la revoca può essere adottata in presenza delle condizioni legittimanti previste dall’art. 21 quinquies L. 241/1990, mentre il potere di recesso è disciplinato da specifiche disposizioni di legge, tra cui l’art. 1, co. 13, D.L. 95/2012; d) nel caso di revoca la determinazione dell’indennizzo segue le regole stabilite dall’art. 21 quinquies, comma 1-bis, L. 241/1990, mentre il ristoro pecuniario dovuto dall’amministrazione recedente è fatto oggetto di apposita disciplina nelle diverse disposizioni di legge che lo regolano, oltre che innestarsi sulla previsione generale di cui all’art. 1373, co. 3, c.c. (se non derogata).
ESTRATTO DELLA MOTIVAZIONE
2.4.1. Come è noto, a seguito delle difficoltà economiche che hanno interessato l’Italia e l’Europa, sono stati varati diversi provvedimenti volti a razionalizzare e ridurre la spesa pubblica (c.d. spending review). Tra le numerose disposizioni introdotte ve ne sono alcune volte a ridurre le spese relative alla stipulazione e all’esecuzione dei contratti pubblici e tra queste, senza pretesa alcuna di esaustività, devono ricordarsi quelle volte ad ampliare il campo di applicazione del c.d. mercato elettronico e del ricorso alla convenzioni CONSIP nonché la disposizione, oggetto della presente controversa, volta a consentire il recesso da contratti che sono divenuti non convenienti a seguito di una sopravvenuta convenzione CONSIP.
Per quanto di interesse, l’art. 1, co. 13, D.L. 95/2012 stabilisce: “Le amministrazioni pubbliche che abbiano validamente stipulato un autonomo contratto di fornitura o di servizi hanno diritto di recedere in qualsiasi tempo dal contratto, previa formale comunicazione all’appaltatore con preavviso non inferiore a quindici giorni e previo pagamento delle prestazioni già eseguite oltre al decimo delle prestazioni non ancora eseguite, nel caso in cui, tenuto conto anche dell’importo dovuto per le prestazioni non ancora eseguite, i parametri delle convenzioni stipulate da Consip S.p.A. … successivamente alla stipula del predetto contratto siano migliorativi rispetto a quelli del contratto stipulato e l’appaltatore non acconsenta ad una modifica delle condizioni economiche tale da rispettare il limite di cui all’art. 26, co. 3, L. 488/1999. Ogni patto contrario alla presente disposizione è nullo. Il diritto di recesso si inserisce automaticamente nei contratti in corso ai sensi dell’art. 1339 c.c., anche in deroga alle eventuali clausole difformi apposte dalle parti. Nel caso di mancato esercizio del detto diritto di recesso l’amministrazione pubblica ne dà comunicazione alla Corte dei conti, entro il 30 giugno di ogni anno, ai fini del controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio di cui all’articolo 3, co. 4, L. 20/1994“.
Non v’è dubbio che la disposizione ora riportata – certamente applicabile anche nel territorio della regione Siciliana anche in coerenza con la svolta avvenuta dopo l’approvazione della L. Cost. 1/2012 e, in particolare, della modifica dell’art. 97, co. 1, Cost. – si coordina con l’art. 21 sexies L. 241/1990 a tenore del quale il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto.
In altri termini il potere di recesso va così ricostruito. In via generale, per tutti i rapporti contrattuali, e a prescindere dal fatto che l’amministrazione sia parte o meno, l‘art. 1373 c.c. disciplina i casi e le modalità di recesso. Per i contratti tra pubblica amministrazione e privati, inoltre, e sempre in generale, l’art. 21 sexies L. 241/1990 ammette il recesso nei casi stabiliti dalla legge o dal contratto con disposizione da alcuni ritenuta “superflua” e da altri “inutiliter scripta”.
Come invece sottolineato dalla più attenta dottrina, la norma da ultimo richiamata ha l’importante funzione di avere escluso l’esistenza di un generale e immanente potere di recesso per operare”una traslazione dell’istituto nell’alveo del diritto comune individuando chiaramente le fonti che legittimano il recesso anche quando parte del contratto è un’amministrazione.
In questo quadro, l’art. 1 co. 13 D.L. 95/2012 è un’applicazione specifica dell’art. 21 sexies L. 241/1990.
2.4.2. Il recesso contrattuale va certamente tenuto distinto dal potere pubblicistico di revoca degli atti di gara. A tale riguardo va rammentato che l’art. 21 quinquies L. 241/1990 permette all’amministrazione di revocare in autotutela il provvedimento per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o (salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici) di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. La revoca determina l’inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo. Il successivo comma 1 bis specifica che, ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico.
2.4.3. Per le ragioni che saranno spiegate più avanti (e per rispondere poi alla domanda di riqualificazione dell’atto impugnato avanzata dall’amministrazione appellata) appare chiaro che la revoca pubblicistica di cui all’art. 21 quinquies L. 241/1990 deve essere tenuta ben distinta anche dal diverso istituto dell’annullamento in autotutela disciplinato dall’art. 21 nonies L. 241/1990. L’annullamento in autotutela, a differenza della revoca, infatti, presuppone l’illegittimità dell’atto, non prevede in via generale il riconoscimento di indennizzo e ha efficacia ex tunc. …
2.4.4. Così ricostruito il quadro giuridico, occorre ora affrontare la questione di carattere generale relativa alla possibilità per l’amministrazione, al cospetto di un contratto già stipulato e divenuto successivamente non conveniente secondo i parametri stabiliti dal D.L. 95/2012, di procedere alla revoca dei provvedimenti di affidamento del contratto piuttosto che al recesso contrattuale in presenza di norme che, oltre ad essere risalenti a periodi differenti, non prevedono un chiaro coordinamento tra loro.
Per questo Consiglio la decisione del TAR che, in presenza della necessità di rivalutare l’economicità del contratto, ha stabilito che “…al di là del nomen attribuito abbia poca importanza la qualificazione della determinazione comunale quale revoca del provvedimento o recesso dalla convenzione, considerato che su un piano sostanziale il Comune si è comunque avvalso di un potere disciplinato dalla legge statale che eccezionalmente incide sulla stabilità dei rapporti negoziali…” non può essere condivisa per numerose ragioni e conseguentemente va riformata.
In primo luogo giova rilevare che il potere di revoca della procedura di affidamento si colloca nell’ambito dell’azione amministrativa di tipo pubblicistico mentre il recesso contrattuale, lasciando impregiudicata la serie pubblicistica degli atti, incide solo sul vincolo contrattuale. È quindi differente la qualificazione della posizione giuridica vantata dal privato nei confronti della revoca pubblicistica (interesse legittimo) e del recesso contrattuale (diritto soggettivo; si vedano, tra le tante, Cons. St., V, 30 luglio 2014 n. 4025 e Cass., I, 2 ottobre 2014 n. 20811).
In secondo luogo va osservato che la revoca ex art. 21 quinquies L. 241/1990 può essere adottata in presenza delle condizioni legittimanti previste dalla norma da ultimo citata mentre il potere di recesso – che come detto trova la sua disciplina generale nell’art. 1373 c.c. – è disciplinato da specifiche disposizioni di legge tra cui l’art. 1, co. 13, D.L. 95/2012.
In terzo luogo deve ricordarsi che nel caso di revoca la determinazione dell’indennizzo segue le regole stabilite dall’art. 21 quinquies, comma 1 bis, L. 241/1990, mentre il ristoro pecuniario dovuto dall’amministrazione recedente è fatto oggetto di apposita disciplina nelle diverse disposizioni di legge che lo regolano, oltre che innestarsi sulla previsione generale di cui all’art. 1373, co. 3 c,c. (se non derogata).
2.4.5. Delineate le differenze esistenti, per questo Consiglio, accertata la non economicità del contratto originariamente stipulato, è prevalente la disposizione relativa al potere di recesso contrattuale perché si tratta di norma speciale rispetto al generale potere di revoca in autotutela. Non si tratta qui di stabilire se l’art. 21 qiunquies L. 241/1990 sia stato parzialmente abrogato o meno ma di individuare, utilizzando gli ordinari canoni ermeneutici, il campo di applicazione delle due norme.
Ed invero l’art. 1, comma 13, d.l. cit. disciplina il recesso nel caso in cui la convenzione stipulata da CONSIP rechi parametri migliorativi (da ricostruire in pedissequa applicazione della norma di legge ora citata) e l’appaltatore non acconsenta ad una modifica delle condizioni economiche. Le condizioni per la revoca pubblicistica, invece, sono di carattere generale sia perché, a tacer d’altro, si applicano anche a provvedimenti amministrativi che non incidono su rapporti contrattuali sia perché prendono in considerazioni ipotesi del tutto generali (sopravvenuti motivi di pubblico interesse, mutamento della situazione di fatto, rivalutazione dell’interesse pubblico originario).
Sotto altro aspetto, ragionando diversamente, il più vasto campo di applicazione dell’art. 21 quinquies L. 241/1990 sostanzialmente priverebbe di pratica applicazione la disposizione introdotta dal d.l. sulla spending review.
Va poi aggiunto che, collocato correttamente il rapporto nella fase di esecuzione del contratto, l’art. 1, co. 13, d.l. cit. meglio garantisce le reciproche posizioni che, è bene ribadirlo, non sono più ascritte alla sfera pubblicistica dell’azione amministrativa – come nel caso dell’art. 21 quinquies L. 21/1990 – bensì a quella privatistica dell’esecuzione del contratto.
A conferma delle conclusioni ora raggiunte e del percorso logico-intepretativo seguito, va ricordata una recente sentenza dell’adunanza plenaria che, proprio facendo leva sul carattere di specialità della norma sul recesso rispetto a quella della revoca, ha escluso l’utilizzo dello strumento pubblicistico della revoca e imposto di esercitare il diritto potestativo regolato dall’art. 134 Cod. Contratti, qualora le pubbliche amministrazioni, stipulato il contratto di appalto, rinvengano sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto negoziale (Cons. St., A.P., 20 giugno 2014 n. 14).
È ben vero che la decisione in questione, nell’affermare tale principio, ha aggiunto che resta “… per converso e di conseguenza consentita la revoca di atti amministrativi incidenti sui rapporti negoziali originati dagli ulteriori e diversi contratti stipulati dall’amministrazione, di appalto di servizi e forniture, relativi alle concessioni contratto (sia per le convenzioni accessive alle concessioni amministrative che per le concessioni di servizi e di lavori pubblici), nonché in riferimento ai contratti attivi”; tuttavia la specificazione ora formulata, oltre ad essere superflua nella decisione della questione sottoposta all’attenzione della plenaria (si trattava di una procedura aperta per l’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori necessari alla realizzazione di un deposito tranviario), non tiene in considerazione proprio la norma introdotta con l’art. 1, co. 13, D.L. 95/2012 per la quale, nei rapporti con il generale potere di revoca in autotutela, non possono che valere le conclusioni cui è prima pervenuto questo Consiglio.
Solo incidentalmente va rilevato che l’evidenziato carattere di specialità permette di ritenere applicabile l’art. 1, co. 13, D.L. 95/2012 – come peraltro affermato anche da parte appellante a pagina 44 dell’atto di impugnazione – anche agli affidamenti diretti di cui all’art. 34, co. 22, D.L. 179/2012, perché quest’ultima norma è volta solo a far salvi gli affidamenti disposti in vigenza di un quadro normativo differente da quello attuale (meno conforme ai principi della concorrenza) ma, a tutta evidenza, non impedisce la rivalutazione della convenienza del contratto così come stabilito dall’art. 1, co. 13, D.L. 95/2012.
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