Accordi prematrimoniali: ecco perché si possono fare La Cassazione "apre" agli accordi preventivi tra coniugi

 

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6 min di lettura

Supponiamo che due persone decidano di sposarsi e vogliano accordarsi su come dovranno essere  gestiti e disciplinati i loro rapporti in caso di conflitto. A tal fine potrebbero ritenere utile sottoscrivere un accordo prematrimoniale, un po’ come capita di vedere nei film americani.
Non si tratta di un fatto trascurabile in quanto le parti, nel momento di massima concordia, potrebbero decidere meglio e più consapevolmente riguardo ai loro diritti e doveri reciproci, evitando quei contrasti che inevitabilmente caratterizzano la disgregazione del rapporto coniugale.

In Italia i coniugi possono soltanto disciplinare convenzionalmente il regime patrimoniale ai sensi dell’art. 162 c.c. scegliendo, per es., tra comunione legale o separazione dei beni, mentre gli accordi prematrimoniali non sono previsti dalla legislazione civilistica che, anzi, in linea generale, li considera nulli, per causa illecita, in quanto essi incidono, direttamente od indirettamente, sui comportamenti difensivi nel processo di divorzio e  toccano la materia dei rapporti patrimoniali conseguenti al divorzio, che è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata alle determinazioni del giudice, a tutela di interessi anche pubblicistici (Cass. 11-12-90, n. 11788).
Ma una recente sentenza della Cassazione (Sentenza n. 18287 del 11/07/2018) sembra invertire la rotta e  dare risposta positiva alla sottoscrizione degli accordi prematrimoniali.
Vediamo perché.

 

La nozione di accordi prematrimoniali

Sono accordi preventivi, sottoscritti dai coniugi in vista della futura eventuale crisi matrimoniale, che però al momento della stipula non è in atto né è prevedibile. In tal senso si distinguono  dagli altro accordi  tesi a regolamentare i profili patrimoniali discendenti dal già acquisito (o dalla contestuale acquisizione) dello status di separato o divorziato che per la giurisprudenza sono validi ed efficaci (Cass. 12-1-2016, n. 298)

 

Il contenuto degli accordi prematrimoniali

I diritti inderogabili

Gli accordi prematrimoniali possono regolamentare vari aspetti del rapporto coniugale ma non possono riguardare ambiti della vita coniugale che sarebbe illecito e immorale sottrarre alla libera scelta dei ciascun coniuge (es., diritti indisponibili, come il diritto all’autodeterminazione, stabilendo che se il coniuge non presti il consenso o si opponga ad una determinata azione si procederà in un certo modo (per es., alla richiesta di divorzio).
L’autonomia dei coniugi incontra perciò un limite invalicabile nell’art. 160 c.c. in particolare per quanto riguarda l’indisponibilità degli status familiari e l’inderogabilità dei diritti ad essi connessi (es., il diritto agli alimenti o il dovere di assistenza morale e materiale ex art. 143 c.c.), nonché la salvaguardia dell’interesse dei figli minori.

Gli aspetti economici

Gli accordi prematrimoniali possono essere utilizzati per regolamentare gli aspetti economici conseguenti allo scioglimento del matrimonio (es.  attribuzione di una somma di denaro, periodica o una tantum; diritti reali su beni immobili). Tali accordi non sono di per sé contrari all’ordine pubblico, sempre che il fallimento del matrimonio non venga considerato come causa dell’accordo, tale che il pagamento di una somma di denaro da parte di un coniuge a favore dell’altro  rappresenti una forma di sanzione dissuasiva volta a condizionare la libertà decisionale degli sposi in ordine all’assunzione di iniziative tendenti allo scioglimento del vincolo coniugale, nel qual caso l’accordo sarebbe nullo. Ad es., in caso di fallimento del matrimonio è stato considerato valido l’impegno negoziale assunto dai nubendi di trasferimento di un immobile di proprietà della moglie al marito, quale indennizzo delle spese, da questo sostenute, per ristrutturare altro immobile destinato ad abitazione familiare di proprietà della moglie medesima (Cass. 21-12-2012, n. 23713).

 

L’assegno di divorzio

Fino ad oggi la giurisprudenza (Cass. 4-6-92, n. 6857) ha negato la validità dell’accordo prematrimoniale con il quale i coniugi fissano l’ammontare dell’assegno di divorzio spettante all’altro coniuge ai sensi dell’art. 5, l. 898/70, considerando che la natura assistenziale dell’assegno stesso (corrisposto al coniuge che non abbia mezzi adeguati) ne determina l’indisponibilità. Ma di recente  le Sezioni Unite della Cassazione (18287/2018) hanno affermato che il diritto all’assegno di divorzio non dipende soltanto dalla mancanza di autosufficienza economica  del beneficiario o dall’esigenza di consentire allo  stesso il ripristino del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Il diritto sorge anche quando si tratta di porre rimedio allo squilibrio esistente nella situazione economico-patrimoniale delle parti per cause che riguardano scelte di vita  risalenti al matrimonio (es. rinuncia al lavoro per accudire i figli e il marito). Di conseguenza l’assegno diventa lo strumento che, adempiendo una funzione compensativa, consente al coniuge più debole di ricevere quanto ha dato durante il matrimonio. Ne consegue che la funzione assistenziale dell’assegno di divorzio si compone anche di un contenuto perequativo-compensativo, che è disponibile, può formare, cioè, oggetto di accordo per riequilibrare le posizioni dei coniugi e tutelare il coniuge più debole.

 

La forma degli accordi prematrimoniali

Le convenzioni matrimoniali debbono essere stipulate per atto pubblico sotto pena di nullità (art. 162 c.c.), ) ed alla presenza dei testimoni (secondo l’interpretazione prevalente dell’art. 48 legge notarile 89/1913).
Nel caso di accordi prematrimoniali, in assenza di una disciplina specifica, dovrebbe applicarsi, per analogia, la stessa forma solenne che, tra l’altro garantisce l’espressione libera e consapevole della volontà dei coniugi sottoscriventi e li tutela da possibili reciproche contestazioni.

 

Le unioni civili tra persone dello stesso sesso e convivenze (L. 76/2016)

Le considerazioni svolte per i coniugi valgono anche per le parti delle unioni civili alle quali si applicano le norme sul regime patrimoniale dei coniugi e sul divorzio.

Riguardo ai conviventi, la legge prevede che essi  possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza, nel quale possono senz’altro prevedere come saranno regolati i loro rapporti in caso di cessazione della convivenza. Il contratto, per espressa disposizione di legge, è redatto in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.

 

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