Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. Sez.Un. 24-9-2018, n. 40986) pronunciandosi in relazione ad una sentenza di patteggiamento riguardante un caso di omicidio stradale, hanno affermato che, in tema di successione di leggi penali, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta.
Questa è la vicenda alla base della pronuncia: nel gennaio del 2016 un automobilista investiva un passante in prossimità di un attraversamento pedonale, cagionandogli lesioni.
La vittima decedeva nell’agosto del 2016, per effetto di complicanze derivanti dall’incidente.
Il procedimento penale a carico dell’automobilista si concludeva con l’applicazione della pena su richiesta delle parti, per omicidio stradale ex art. 589-bis, norma entrata in vigore nelle more dell’iter processuale.
Contro tale sentenza l’imputato proponeva ricorso in Cassazione rilevando che il delitto di omicidio stradale fosse entrato in vigore in epoca successiva alla condotta contestata, alla quale, quindi, avrebbe dovuto essere applicato il meno rigoroso trattamento sanzionatorio dell’omicidio colposo, pur se aggravato dalla violazione delle disposizioni sulla circolazione stradale.
La questione sottoposta, dunque, all’attenzione delle Sezioni Unite è la seguente: nel caso in cui tra la condotta penalmente rilevante e l’evento lesivo intercorra un periodo di tempo tale che, nel frattempo, sopravvenga una disciplina legislativa più sfavorevole per l’imputato, quale delle due troverà applicazione, quella più favorevole al reo, vigente al momento della condotta, o quella più sfavorevole entrata in vigore quando si è verificato l’evento?
Di fronte al contrasto interpretativo le Sezioni unite hanno ritenuto, nel caso di specie, applicabile la legge vigente al momento della condotta.
E’, infatti, proprio la condotta il punto di riferimento temporale essenziale a garantire la calcolabilità delle conseguenze penali e, con essa, l’autodeterminazione della persona; ed è a tale punto di riferimento temporale che deve essere riconnessa l’operatività del principio di irretroattività ex art. 25 Cost. posto che “spostare in avanti” detta operatività, correlandola all’evento del reato, determinerebbe, qualora alla condotta interamente posta in essere nella vigenza di una legge penale sia sopravvenuta una normativa penale più sfavorevole, la sostanziale retroattività di quest’ultima rispetto al momento in cui è effettivamente possibile per la persona “calcolare” le conseguenze penali del proprio agire, con inevitabile svuotamento dell’effettività della garanzia di autodeterminazione della persona e della ratio di tutela del principio costituzionale di irretroattività.
Il fondamento di garanzia del principio di irretroattività della norma più sfavorevole e il suo necessario riferimento alla valutabilità delle conseguenze penali della condotta da parte del reo sono, dunque, decisivi nell’indirizzare la soluzione della questione rimessa alle Sezioni unite verso l’adesione al criterio della condotta. Una ratio di garanzia della persona del tutto coerente con il principio personalista che il Costituente ha posto quale uno dei pilastri fondamentali dell’edificio costituzionale, in special modo in materia penale.
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