Il Consiglio di Stato si è pronunciato in molteplici occasioni sulla questione dei titoli di studio per l’accesso ai concorsi pubblici. Alla luce degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza amministrativa sui concorsi per titoli quali sono gli scenari auspicabili? Recentemente la Riforma Brunetta sui concorsi pubblici 2021 ha causato molto disorientamento fra i candidati ai concorsi pubblici. Le modifiche introdotte dal decreto legge, in attesa di approvazione, hanno previsto che la preselezione verrà fatta tenendo conto dei titoli di studio dichiarati al momento di presentazione della domanda.
I timori dei candidati sui concorsi per titoli
In molti si sono chiesti: «come verrà qualificato il mio master?» oppure «sarà sufficiente il mio punteggio del voto di laurea per poter partecipare?». Il punto che più spaventa è che ciascuna amministrazione potrà prevedere titoli di studio diversi per l’accesso alle selezioni: questa circostanza inequivocabilmente penalizza i più giovani, che hanno investito tempo nello studio proprio per superare quella selezione, o quel concorso, che verranno tagliati fuori perché non in possesso dei titoli richiesti né in tempo per ottenerli.
Nello specifico, non si conosce quali dei titoli potranno essere oggetto di scrematura nelle diverse amministrazioni: lo prevederanno i singoli bandi emanati sulla base della nuova normativa.
Il singolo bando è la lex specialis che regolerà i concorsi pubblici: ma come si è orientata la giurisprudenza amministrativa finora su questioni simili?
Il quadro normativo di riferimento
Art. 70, co. 13, D.Lgs 165/2001: “In materia di reclutamento, le pubbliche amministrazioni applicano la disciplina prevista dal D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, e successive modificazioni ed integrazioni, salvo che la materia venga regolata, in coerenza con i principi ivi previsti, nell’ambito dei rispettivi ordinamenti”;
Art. 2, co. 6, D.P.R. n. 487/1994: “l’accesso a profili professionali di ottava qualifica funzionale e’ richiesto il solo diploma di laurea”.
Le decisioni del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato, in una nota pronuncia (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 28 febbraio 2012, n. 2098) ha specificato che “in assenza di una fonte normativa che stabilisca autoritativamente il titolo di studio necessario e sufficiente per concorrere alla copertura di un determinato posto, il potere discrezionale dell’amministrazione banditrice della selezione pubblica va esercitato tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire, con l’effetto che, nel caso in cui il bando di concorso per funzionario richieda il possesso di ulteriori titoli culturali post-universitari oltre la laurea, si manifesta un difetto di proporzionalità dei criteri selettivi, con conseguente immotivata ed eccessiva gravosità rispetto all’interesse pubblico perseguito tale da rendere gli stessi oggetto del sindacato giurisdizionale sotto i profili dell’illogicità, dell’arbitrarietà e della contraddittorietà”.
Più recentemente (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 14 ottobre 2019 n. 6971 e 24 gennaio 2020, n. 590) c’è stato modo di accogliere le ragioni dei ricorrenti, esclusi da alcune procedure concorsuali, nei casi in cui “i criteri del bando impugnato non risultavano proporzionali rispetto all’oggetto della specifica procedura selettiva e al posto da ricoprire tramite la stessa, risolvendosi pertanto in una immotivata ed eccessiva gravosità rispetto all’interesse pubblico perseguito», non risultando “giustificata la pretesa titolarità di titoli ulteriori rispetto al diploma di laurea”.
L’ultima sentenza gennaio 2021
I supremi giudici amministrativi – pur riconoscendo in capo all’amministrazione che indice la procedura concorsuale un potere discrezionale nell’individuare la tipologia dei titoli richiesti per la partecipazione alla selezione pubblica, da esercitare tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire hanno condiviso l’orientamento giurisprudenziale, ravvisando un difetto di proporzionalità nei casi in cui la scelta discrezionale dell’amministrazione risulti immotivata ed eccessivamente gravosa rispetto all’interesse pubblico perseguito.
Sulla base dei propri precedenti orientamenti il Consiglio di Stato con la recentissima sentenza 22 gennaio 2021, n. 676 (link a fine articolo) resa dalla VI Sezione si è discostato dalla pronuncia del giudice di primo grado accogliendo l’appello del candidato escluso dalla Commissione interministeriale per l’attuazione del progetto Ripam per avere lo stesso presentato un diploma di perfezionamento nella materia richiesta dal concorso che non era stato considerato come titolo equipollente.
Nel caso di specie è stato individuato un irragionevole esercizio del potere discrezionale per mancanza di aderenza alle caratteristiche della selezione posta in essere dall’amministrazione: in questo e casi simili il provvedimento di esclusione o di non idoneità è oggetto di sindacato giurisdizionale.
Dunque potrà essere censurata anche la normativa posta a fondamento del potere discrezionale della pubblica amministrazione nella determinazione dei requisiti per i concorsi pubblici?
Ai posteri l’ardua sentenza, e intanto, se approvata, la riforma darà la stura ad una vagonata di ricorsi.
Scarica la sentenza Consiglio di Stato sulla selezione per titoli
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