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L’art. 1, c. 10, L. 76/2016 prevede un sistema di individuazione del cognome comune fondato sull’accordo e sulla libera determinazione delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. A queste è riconosciuta, infatti, la facoltà di adottare un cognome unico, scegliendolo tra quello dell’una o dell’altra.
Le stesse persone potrebbero potrebbero legittimamente decidere di mantenere i rispettivi cognomi, rinunciando a contraddistinguere il vincolo con un cognome comune e condiviso.
Secondo la Corte costituzionale, che si è recentemente espressa con sent. 22-11-2018, n. 212, il «cognome comune» è un semplice cognome d’uso, senza valenza anagrafica, ossia senza modifica della scheda anagrafica individuale, nella quale rimane il cognome precedente alla costituzione dell’unione.
La sentenza chiarisce che, nonostante il comma 10 della legge 76/2016 non contenga un’espressa qualificazione degli effetti di tale scelta, fornisce un’indicazione significativa circa la necessità o meno di modifiche anagrafiche, laddove espressamente delimita la durata del cognome comune a quella dell’unione civile.
Ai sensi del comma 10 della legge 76/2016, infatti, la scelta del cognome è operata «per la durata dell’unione».
Dallo scioglimento dell’unione civile, anche in caso di morte di una delle parti, discende la perdita automatica del cognome comune e, di conseguenza, una variazione anagrafica del cognome della parte dell’unione civile avrebbe effetto solo per la durata dell’unione.
Secondo la Corte Costituzionale sarebbe contraddittorio e irragionevole attribuire alla scelta compiuta dalle parti dell’unione civile un effetto — la variazione del cognome anagrafico — che è nell’ordinamento tendenzialmente definitivo e irreversibile, mentre nella specie sarebbe temporaneo e limitato alla durata dell’unione.
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