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L’emergenza senza precedenti che il nostro Paese sta fronteggiando propone molteplici interrogativi anche sul piano giuridico. Uno di questi è senz’altro rappresentato dalla contrapposizione tra due valori fondanti del nostro ordinamento, entrambi di rilevanza costituzionale: il diritto alla salute e quello alla privacy.
Il presupposto da cui partire per inquadrare al meglio tale questione risiede nel carattere di eccezionalità della crisi in corso: le decise misure di contenimento messe in atto comprimono necessariamente, e a tempo determinato, diversi diritti essenziali dell’individuo, in primis quelli di circolazione e di riunione, con l’obiettivo – primario – di affrontare e sconfiggere la pandemia.
E la privacy? Il problema della tutela della privacy si è affermato in maniera importante, specie con riguardo alla eventuale diffusione dei dati personali dei soggetti contagiati – a volte finiti persino sui social network e in balia degli utenti, a caccia dell’ “untore”. Lo stesso Garante privacy, con comunicato del 31 marzo, di fronte alla presenza dei dati dei malati sui social e sui media, ha richiamato l’attenzione degli operatori sul <<rispetto del requisito dell’”essenzialità” delle notizie che vengono fornite, astenendosi dal riportare i dati personali dei malati che non rivestono ruoli pubblici>>. Ulteriori questioni agli onori della cronaca, sebbene non connesse alla riservatezza del dato sanitario strettamente inteso, concernono, ad esempio, il profilo del “tracciamento” degli spostamenti tramite app o, ancora, le falle nella gestione dei dati personali nell’ambito delle procedure INPS per l’erogazione del bonus agli autonomi.
Di fronte a tali problematiche, quali sono gli orientamenti?
Ebbene, la tendenza che si è affermata va nella direzione di un deciso allentamento dei vincoli di legge, come del resto già previsto dal Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali (GDPR) n. 679/2016. Sebbene, infatti, i dati relativi alla salute, per loro natura, ricevano una tutela rafforzata rispetto alla generalità dei dati personali, il legislatore europeo ammette la possibilità di derogare al generale divieto di trattare tali dati in caso di “interesse pubblico nel settore della sanità pubblica”, come ad esempio per la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero o la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza dell’assistenza sanitaria e dei medicinali e dei dispositivi medici (art. 9 par. 2 lett. i del GDPR).
Le misure del Governo e il D.L. 14/2020
Sulla scia di tali previsioni, l’esecutivo, con il D.L. 9 marzo 2020, n. 14, di rafforzamento del SSN, ha attribuito poteri speciali, fino alla cessazione dell’emergenza, per il trattamento dei dati personali ad alcuni soggetti (Ministero della salute, Protezione civile, Istituto superiore di sanità, strutture pubbliche e private operanti nel SSN), necessari all’espletamento delle funzioni attribuite nell’ambito dell’emergenza COVID-19. A tali soggetti viene infatti concesso di raccogliere e trattare, tramite modalità “semplificate”, i dati personali ritenuti necessari, ad esempio omettendo l’informativa agli interessati o fornendone una semplificata o in via orale. Lo scopo di tali previsioni è quello di contemperare le esigenze di gestione dell’emergenza sanitaria in atto con quella afferente alla salvaguardia della riservatezza degli interessati.
E al termine dell’emergenza?
Il decreto citato, alla fine dell’emergenza, prevede un “ritorno alla normalità” anche in ordine al profilo della gestione dei dati: i soggetti cui sono stati conferiti questi poteri speciali, infatti, dovranno adottare le misure idonee a ricondurre i trattamenti di dati personali effettuati nel contesto dell’emergenza, all’ambito delle ordinarie competenze e delle regole che disciplinano i trattamenti di dati personali.
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