IL CONCORSO DI PERSONE NEL REATO
(PARTE II)
di Max Di Pirro
(segue)
3. il contributo del singolo concorrente alla realizzazione del reato. Sul punto, in mancanza di puntuali indicazioni del legislatore, assumono un ruolo fondamentale, al fine di individuare il comportamento atipico minimo suscettibile di integrare gli estremi del concorso, due principi:
- a) il principio di materialità, secondo cui non è sufficiente una mera adesione interna al reato posto in essere da altri, occorrendo invece un comportamento esteriore;
- b) il principio della responsabilità personale, secondo cui il comportamento esteriore deve tradursi in un contributo rilevante, di natura materiale o morale, alla realizzazione del reato.
Per la definizione dei requisiti minimi della condotta concorsuale sono stati proposti tre differenti modelli:
- secondo il criterio causale, assume rilevanza esclusivamente l’azione del partecipe che costituisca condicio sine qua non (condizione indispensabile) del fatto punibile secondo un giudizio ex post, ossia valutando il reato concretamente realizzato. Tale criterio è eccessivamente restrittivo, poiché esclude sia i contributi di mera «agevolazione» (la fornitura di uno strumento che, senza costituire condizione imprescindibile del reato, ne accelera tuttavia la realizzazione), sia i contributi rivelatisi, a reato eseguito, del tutto inutili (fornitura dello strumento che poi, in concreto, non viene utilizzato);
- secondo il criterio della prognosi postuma, è sufficiente che la condotta del partecipe sia ex ante idonea a facilitare la realizzazione del reato, anche se si riveli ex post inutile o dannosa. Non è necessario che la condotta del concorrente sia condicio sine qua non dell’evento ma è sufficiente che il soggetto abbia apportato un contributo potenzialmente idoneo a favorire l’evento, a renderlo più probabile. In questo indirizzo è stata ravvisata un’eccessiva estensione dei confini della punibilità, che comprende nel concorso anche apporti privi di una reale pericolosità o comunque riconducibili alla figura del “tentativo di concorso”. Tale interpretazione, valutando la rilevanza della condotta prima della realizzazione del reato e non a reato consumato, ritiene punibili anche i contributi che si siano rivelati, in concreto, inutili o addirittura dannosi ma che tali non erano al momento dell’organizzazione del piano criminoso (ad es., la fornitura dello strumento poi non utilizzato o il contributo del c.d. complice maldestro, il cui operato ostacola di fatto la realizzazione del reato). In tale quadro l’attenzione va posta non tanto sui risultati della compartecipazione quanto piuttosto sull’«aumento del rischio» di reato collegato potenzialmente con il singolo contributo;
- il criterio della causalità agevolatrice (o di rinforzo) afferma la rilevanza, ai fini del concorso, non soltanto del contributo necessario ma anche di quello che abbia soltanto facilitato la realizzazione del reato, rendendolo più probabile, più facile o più grave, sempre alla stregua di un giudizio ex post. Tale o modello coinvolge nel fenomeno concorsuale sia le condizioni necessarie, sia quelle solo agevolatrici, poiché tutte appartengono alla ricostruzione del fatto storico e tra esse non è ammissibile alcuna differenziazione.
La prevalente giurisprudenza tende senz’altro ad applicare il criterio della causalità agevolatrice, sostenendo che «il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore che arrechi un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, perché in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti» (Cass. 24-10-2019, n. 43569).
Non è necessario un previo accordo diretto alla realizzazione dell’evento, potendo il concorso esplicarsi in un intervento di carattere estemporaneo sopravvenuto a sostegno dell’azione altrui, ancora in corso, quand’anche iniziata all’insaputa del correo.
Invece, è estranea alla figura del concorso l’attività diretta a favorire gli autori del reato posta in essere «dopo» che questo fu commesso, a meno che vi sia stata la preventiva promessa o prospettazione di tale aiuto, che abbia rafforzato l’altrui proposito criminoso, nel qual caso si è in presenza di una condotta rilevante ai sensi dell’art. 110 c.p.
3.1. Concorso materiale e morale. La mera connivenza. Secondo una classificazione radicata in dottrina, il contributo concorsuale si distingue in materiale e morale, a seconda che attenga all’esecuzione della fattispecie oggettiva del reato o alla volontà di chi lo commette.
Nell’ambito della partecipazione materiale si distinguono tradizionalmente le figure dell’autore (realizza l’azione tipica), del coautore (esegue la medesima azione insieme ad altri) e del partecipe (pone in essere una condotta che di per sé sola non corrisponde alla fattispecie incriminatrice, ma facilita la preparazione o la consumazione del crimine).
Nell’ambito della partecipazione psichica vengono distinte le figure del determinatore (fa sorgere in altri un proposito criminoso prima inesistente) e dell’istigatore (rafforza l’altrui proposito criminoso già esistente).
Il concorso morale va accertato non solo rispetto all’atteggiamento psicologico dell’agente ma anche sulla base della sua incidenza sul reato da altri eseguito; in presenza di attività espressive solo di una mera adesione o approvazione dell’altrui disegno delittuoso (facendo salve le ipotesi in cui tale approvazione possa considerarsi come un’autorizzazione alla commissione del reato o si risolva nella violazione di un obbligo giuridico di impedire l’evento), non accompagnate da alcuna specifica e concreta cooperazione all’illecito, si configura una mera connivenza penalmente irrilevante.
Per le medesime ragioni il concorso morale va escluso quando l’attività psichica sia risultata ininfluente, o perché rivolta a un soggetto già pienamente determinatosi (c.d. omnimodo facturus) o perché, di fatto, l’esecutore ha agito sulla base di diverse motivazioni.
Riguardo al concorso morale, in applicazione del criterio (prevalente) della causalità agevolatrice:
- la semplice presenza fisica sul luogo dell’esecuzione del reato integra gli estremi del concorso morale quando, palesando chiara adesione alla condotta dell’autore del fatto, sia servita a fornirgli stimolo all’azione e un maggiore senso di sicurezza (Cass. 22-10-2013, n. 50323), sempre che il concorrente si sia rappresentato l’evento del reato e abbia partecipato ad esso esprimendo una volontà criminosa uguale a quella dell’autore materiale. Così, la presenza fisica del partecipe a un’associazione mafiosa alla commissione di un delitto fine integra una forma di cooperazione morale al delitto; analogamente, concorre nel delitto di tentata estorsione colui che, pur rimanendo sempre silente, accompagni altri incaricati di formulare la richiesta del “pizzo”, assista alla espressa richiesta e si allontani con l’autore della stessa, poiché tale condotta svolge un contributo materiale e morale al rafforzamento dell’effetto intimidatorio della pretesa estorsiva e alla rappresentazione dell’esistenza di un gruppo organizzato;
- con specifico riferimento alla detenzione di sostanze stupefacentia fine di spaccio, si è precisato che la distinzione tra connivenza non punibile del coniuge e concorso nel delitto va individuata nel fatto che mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel secondo detto comportamento deve manifestarsi in modo che si arrechi un contributo alla realizzazione del delitto, come mantenere i contatti con gli altri spacciatori o con gli acquirenti, ricevere telefonate e riferirne al proprio coniuge, facilitare e agevolare la detenzione, contribuendo allo occultamento e fornendo così maggior senso di sicurezza al coniuge; la destinazione da parte del marito dei proventi dell’illecita attività al mantenimento della famiglia è irrilevante se la moglie, pur nella consapevolezza dell’attività illecita del marito, non apporta alcun contributo casuale alla detenzione della droga, mantenendo un atteggiamento passivo, che come tale non integra la figura del concorso nel reato;
Tuttavia, l’affermazione secondo la quale non è sufficiente, per configurare il concorso nella detenzione di sostanza stupefacente, l’accertamento di un rapporto di coabitazione nell’appartamento in cui la droga è custodita, perché non è ravvisabile a carico del convivente alcun obbligo giuridico di impedire l’evento ex art. 40 c.p., merita qualche puntualizzazione, poiché vi possono essere:
- casi in cui sussiste l’obbligo di impedimento, come accade ad esempio per l’esercente la responsabilità genitoriale consapevole della detenzione nell’abitazione familiare di stupefacenti a fine di spaccio compiuta dal figlio minore;
- casi nei quali non viene in considerazione l’obbligo di impedimento, come accade per il soggetto che ha titolo per impedire l’utilizzo dell’abitazione a fini illeciti da chi vi sia ospitato. In questo caso non viene in considerazione l’obbligo giuridico di impedire l’evento ma la valenza causale di una condotta che non è omissiva bensì commissiva e che consiste nel mettere a disposizione di taluno un bene sul quale si ha dominio. Ove tale condotta si traduca in un’agevolazione della commissione dell’illecito, perché garantisce la sicurezza della custodia, la clandestinizzazione dell’attività illecita, la pronta disponibilità delle cose e quindi la facilitazione del traffico, e di ciò il soggetto sia consapevole, ben potrà escludersi la connivenza non punibile perché con condotta positiva si è arrecato un contributo, materiale o morale, alla commissione dell’illecito per come effettivamente concretizzatosi.
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