Anche il figlio non convivente, in mancanza di tutti gli altri familiari legittimati a godere del beneficio, ha diritto al congedo straordinario per assistere il genitore gravemente disabile secondo l’ordine di priorità indicato dalla legge (coniuge convivente, padre e la madre, anche adottivi, figli conviventi, fratelli e sorelle conviventi, e da ultimo parenti o gaffini entro il terzo grado conviventi).
Lo ha stabilito la Corte costituzionale con sentenza del 7 dicembre 2018, n. 232, con la quale dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 là dove non prevede, appunto, questo beneficio anche per il figlio che, al momento della presentazione della richiesta del congedo, ancora non conviva con il genitore in situazione di disabilità grave, ma che tale convivenza successivamente instauri.
Nella sentenza si legge che la scelta di porre la preesistente convivenza come «prerequisito» indispensabile per il godimento del beneficio rispecchierebbe, per un verso, una concezione restrittiva dell’assistenza familiare, limitata al solo nucleo convivente, e, per altro verso, «una visione statica e presuntiva dell’organizzazione familiare, che può rivelarsi incompatibile con la necessità di prendersi cura, dall’oggi al domani, di una persona divenuta gravemente disabile».
Le necessità che, secondo «il moderno dispiegarsi dell’esistenza umana», conducono i figli ad allontanarsi dalla famiglia d’origine non potrebbero in nessun caso ostacolare la «concreta attuazione dell’inderogabile principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost.», attuazione che ben potrebbe essere garantita mediante l’imposizione di un obbligo di convivenza «durante la fruizione del congedo».
Tale decisione si pone in continuità con il recente orientamento giurisprudenziale sui nuovo concetto di famiglia.
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